My Lives

12 gennaio 2015

Gran parte dei libri di Edmund White hanno un evidente carattere autobiografico anche quando l'autobiografia si presenta romanzata. Nel presente testo l'autobiografia è invece nuda e cruda: lo scrittore vi rievoca infatti episodî, incontri e persone a volte già menzionati nelle opere precedenti, a volte nuovi, e a volte già conosciuti dai lettori fedeli ma presentati sotto altra luce; la sistemazione del materiale viceversa è originale, perché White procede per temi: "i miei analisti", "mio padre", "mia madre", "le mie marchette", "i miei biondi" e via dicendo. Il capitolo dedicato agli psicanalisti non a caso compare in apertura: l'esigenza di scrivere su di sé per il Nostro, quantomeno dapprincipio, dovette avere finalità liberatorie e terapeutiche; quanto poi lo scrivere, grazie al quale noi lettori abbiamo conosciuto tanti bei libri, abbia effettivamente giovato alla salute dell'autore, non sappiamo; ci possiamo invece consolare del fatto che noi italiani, avvezzi a frignare sull'omofobia della Chiesa cattolica, non ci rendiamo conto in realtà di quale fortuna ci sia nel sentire parlare male dell'omosessualità da parroci e frati confessori, i quali non pretendono che le loro verità siano scientifiche e oltretutto i proprî consigli, buoni o cattivi che siano, li danno gratis, mentre White sborsò per anni e anni una fortuna, prima dei genitori e poi sua, per ricevere avvisi terapeutici omofobici e dementi dei quali ci sciorina qui un inquietante e sconfortante campionario: d'altra parte, non ci si dovrebbe meravigliare che un popolo che beve Coca Cola, mette la maionese sulle patate fritte e crede agli economisti sia capace di prestar fede anche ai seguaci eretici od ortodossi del dottor Freud.
Scelta curiosa, White, che di solito rende non dico epica e trasfigurata, ma perlomeno poetica e invidiabile la sua vita tra viaggi, amicizie, amanti, New York, Roma, Parigi e vacanze goderecce a Fire Island, qui sembra determinato a ritrarsi nella maniera più dimessa e meno accattivante che gli riesca: non perde occasione di ricordarci quanto fosse inadeguato da piccolo, fisicamente sgraziato da grande, sessualmente vorace ma sentimentalmente confuso, pieno di mende caratteriali, con una cultura zoppicante, goffo nell'apprendere le lingue e inetto nel parlarle, pieno di parenti orribili e di conoscenti squilibrati; non so se lo faccia per understatement, civetteria o spirito di autoflagellazione: certo è che alla lunga l'insistenza su pochezze, difetti e bizzarrie appesantisce parecchio la narrazione. Ciò che invece rimane costante nella prosa del Nostro è il suo gusto per il ritratto succoso e satirico: temo che, amante qual è della letteratura francese, gli piacerebbe imitarne certe caricature in punta di penna, che però in White trasudano a volte acredini assai poco parigine. Certi personaggi, come l’antiquario e collezionista Jacques Guérin, sono dipinti con un'acidità degna di miglior causa, soprattutto se si pensa che l'autore americano lo conobbe vecchissimo e lo sbeffeggia da morto (ma in ciò egli è recidivo: lo fece altrove anche con Glenway Wescott, il quale oltretutto, visto che il mondo è piccolo, con Guérin ebbe una relazione alla fine degli anni Venti); e, se si pensa che il Nostro ha frequentato gente assai più famosa e influente di tanta qui messa in burla o in luce meschina, sorge pure qualche dubbio sul suo coraggio: ma d'altronde il libro è il suo, e vi può descrivere o demolire chi meglio gli piace.
Lo spirito penitenziale investe perfino il lato intellettuale di White: sarà veridico o sarà esagerato quel che riferisce sulla sua cultura piena d’imparaticci, di buchi e di toppe? Ho la sensazione tuttavia che quanto racconta sui suoi studî universitarî sia realistico: laurearsi in cinese senza sapere il cinese negli atenei americani, da quel che leggo, è normale ancor oggi; e noi, che delle scemenze altrui sappiamo farci ottime scimmie, una riforma scolastica dopo l’altra siamo sulla buona strada per arrivare agli stessi risultati anche in Italia.
Libro un po’ confuso, speziato e godibile a tratti, noiosetto in certe parti, non direi che sia tra i migliori di Edmund White; ma, come tutte le sue opere, si legge con scioltezza e nel complesso lo si può apprezzare.
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