recensione diDaniele Cenci
My lives
Un memoriale tenero e crudo, un saggio della rara "arte di evocare gli istanti felici" (Baudelaire): il migliore interprete della cultura gay americana vi mette a nudo il suo cuore e il suo corpo, e va oltre la 'finzione autobiografica' di "Un giovane americano" e della "La sinfonia dell'addio".
Entriamo nella sua vita senza un ordine cronologico: la materia è distribuita per nuclei tematici, tra cui spiccano le sezioni sui suoi analisti (con lo psicoterapeuta gay Silverstein White scriverà "Le gioie dell'omosessualità"), sulle marchette, l'Europa (con la fascinazione per gli autori francesi), gli amici complici amanti ("Il mio master", esplora il gioco del padrone e dello schiavo) e la biografia su Genet che lo assorbì a lungo nel periodo più buio dell'emergenza AIDS, mostrandogli come la grande narrativa "non è solo mimetica, ma anche profetica". «Furoreggiavano il femminismo, la rivoluzione sessuale e le proteste contro la guerra in Vietnam. Da un momento all'altro si sarebbero rimescolate le carte in tavola, e qualcuno avrebbe gridato: "Gay è bello", per fare pendant con "Nero è magnifico"».