recensione diMauro Giori
London Spy
Danny, un ragazzetto tanto gracile quanto romantico, proprio quando sembra giunto sull’orlo della disperazione incontra per caso l’insperato amore della sua vita, nella forma di un ragazzotto tanto atletico quanto misterioso (Alex), dai lineamenti vagamente sovietici. In realtà è solo suggestione da spy story: si tratta infatti dell’inglesissimo Edward Holcroft, mentre Danny è interpretato da Ben Whishaw, che si era già visto nel ruolo di un giovane gay piuttosto intraprendente nel fantascientifico Cloud Atlas. Ad ogni modo, Alex usa a Danny una gentilezza, interrompendo la sua sessione di allenamento, ed è amore a prima vista, per entrambi. Il tutto accade sullo sfondo del South Bank, una zona di Londra che, portando allo stesso tempo i segni della tradizione e quelli del rinnovamento urbano, fa da perfetta cornice a un racconto sospeso tra rievocazione dei tempi d’oro della guerra fredda (quando l’omosessualità in Gran Bretagna era ancora fuori legge) e nuovi scenari futuristici e ipertecnologici.
Quando Danny torna sul luogo del delitto sentimentale nella speranza di incontrare nuovamente il principe gentile, lo incontra. Tutto sembra destinato a finire in una storia d’amore fiabesca e melensa, sia pure con un contorno passionale piuttosto rovente anche per la televisione odierna. L’unico neo è rappresentato dall’imperscrutabilità di Alex: il poverino ha quella reticenza propria di chi ha avuto un passato travagliato e non ne parla volentieri, ma nel suo caso c’è molto altro. Scopriamo infatti presto che si tratta di un genio dei numeri e che il suo lavoro di agente segreto non lo aiuta certo ad apprezzare le virtù dell’espansività, che già non è nelle sue corde naturali. Non sorprende dunque che abbia la tendenza a razionalizzare un po’ troppo anche i sentimenti. Quando ad esempio, nella cornice romantica di una sera in riva al mare, Danny chiede ad Alex se anche lui pensi di aver trovato finalmente la metà perfetta con cui costruire una storia d’amore a lungo termine, lui risponde con un ragionamento statistico tanto inappuntabile quanto scorante per frigidità. Non ha comunque il tempo di rovinare tutto perché finisce in una cassa nella soffitta di casa, dove sarà proprio il povero Danny a trovarlo. Non per caso: qualcuno ha infatti inscenato una morte accidentale conseguente a un gioco erotico sadomaso finito male per coprire le vere ragioni dell’omicidio e incastrare Danny. Il quale però non demorde: non avendo granché da fare né da perdere, vuole andare in fondo alla verità.
Nel suo percorso sarà aiutato da un amico, una spia anch’egli (qui entra in scena il sempre bravo Jim Broadbent), avanti con gli anni e pieno di risentimenti nei confronti dei suoi datori di lavoro, i quali in anni lontani, scoperta la sua omosessualità, lo avevano messo ai margini del sistema con ricatti di vario genere. Inoltre Danny dovrà scontrarsi con l’algida madre di Alex, una Charlotte Rampling a mezzo regime, il che è un gran peccato perché si tratta di attrice capace di grande finezza (come ha recentemente dimostrato ancora in 45 anni): comunque, basta vederla alla sua prima comparsa per capire molto delle ragioni per cui il povero Alex non amava parlare di sé. Al confronto la passione per la matematica non è stata la sua peggior sfortuna.
Il resto della miniserie si sviluppa dunque intorno alle indagini di Danny e ai suoi sforzi per sopravvivere, da semplice sfigato qual è, a tutto un sistema spionistico internazionale che si muove contro di lui. E alla mamma di Alex (nonché all'incontro con un imbarazzante Scamarcio).
Le premesse erano eccellenti, ma il racconto si sviluppa con eccessiva verbosità, peraltro ruotando intorno a un’idea un po’ troppo fragile e ingenua, che vorrebbe un Alex destinato, nella sua incoercibile purezza, a ripulire da solo il mondo di tutte le sue brutture. Salvo che il mondo non desiderava essere ripulito.
La parte meglio sviluppata rimane così proprio quella sentimentale, benché inizialmente sembrasse destinata a tanta banalità. Di puntata in puntata l’elaborazione del lutto e il rifiuto di rassegnarsi al sogno d’amore infranto acquisiscono un’intensità dolente molto più convincente della parte spionistica, che si mangia però buona parte della narrazione. Anziché una buona storia di spionaggio con infusioni di omosessualità ci si ritrova così con una buona storia d’amore omosessuale con infusioni di spionaggio, e da qualche parte nella sceneggiatura il dosaggio degli ingredienti è andato male. Il piacente Alex avrebbe sicuramente saputo darne conto con matematica precisione, se solo non fosse finito chiuso in un baule.