recensione diAndrea Meroni
La vedova inconsolabile ringrazia quanti la consolarono
Maneggiare una storia grezza con mano lieve è una cosa che sanno fare in pochi, e tendenzialmente tra quei pochi non possiamo annoverare i maestri della commedia scollacciata nostrana. Lo specialista del genere Mariano Laurenti perlomeno era abile nel palleggiare le volgarità a velocità sostenuta, con un senso del ritmo che, in un modo o nell'altro, snelliva l'umorismo più grassoccio.
Il gioco di prestigio (se così lo si può definire, perché le barzellette più scontate e usurate non diventano prodigiosamente né nuove né intelligenti nelle sue mani) gli riesce bene nella prima parte di La vedova inconsolabile ringrazia quanti la consolarono, sceneggiato con giocosa sfacciataggine da Giovanni Grimaldi. Ma, verso un terzo del film, il demone del pecoreccio, stuzzicato in tutti i modi, si palesa e fagocita la pellicola, abbuffata con tutti gli standard della commedia di ambientazione sicula: ricche vedove da ingravidare a tempo record (pena la perdita di un'ingente eredità), corna postume, defunti adirati che scrutano la vedova dall'alto del loro ritratto, mafiosate all'acqua di rose, amanti provvisoriamente impotenti e rimedi caserecci per restituire la potenza sessuale. Tutto usato garantito, come del resto i protagonisti del film – una Edwige Fenech piuttosto reattiva e Carlo Giuffrè, ovviamente adeguato ma non al top della sua verve – e i caratteristi Guido Leontini, Pino Ferrara, Enzo Andronico e Franco Ressel.
Quest'ultimo ha il ruolo di un compassato e controllatissimo avvocato, scelto dall'immorale e lasciva madre di Edwige Fenech, Didi Perego, per curare gli interessi della figlia; costei dovrà dire addio al patrimonio del coniuge se entro nove (anzi, dieci) mesi non darà alla luce un bambino che si possa spacciare per il figlio del defunto (sterile, a detta dei fratelli). L'avvocato Ressel viene preso in considerazione da quella furbastra della Perego come possibile padre del nascituro ancora da concepire: «Lei avvocato, ce lo metterebbe... lo zampino?». Contestualmente si mette a elencare le caratteristiche positive di Ressel alla Fenech, nel vano tentativo di convincerla a farsi ingravidare dal “malcapitato”: «grazioso, virile, bell'uomo», tutto questo mentre l'avvocato si contorce, boccheggia e suda, con un picco di disperazione in corrispondenza con la parola “virile”.
Stacco. I cognati della Fenech stanno complottando per far sì che nessun maschio possa avvicinarsi alla bella vedova per fare ciò che il loro defunto fratello non aveva i mezzi per fare. Il più stordito dei due (Pino Ferrara) fa notare al fratello che l'avvocato Baldo (così si chiama il personaggio di Ressel) ronza impunemente attorno alla Fenech. Il fratello più furbo (Guido Leontini), gonfio di superbia, esclama: «Ma come? Non l'hai capito?», poi assume un'aria di circospezione, data la presenza delle orecchie innocentissime di sua figlia, la quale – con fare da oca – si pronuncia così: «Ma allora non è baldo, è frocio!». Uno sganassone del padre la mette a tacere. Una giornata particolare era ancora di là da venire: se i due cognati della Fenech l'avessero visto, la loro sicumera si sarebbe sciolta come neve al sole di fronte alla dimostrazione che l'omosessualità non è un sortilegio che preclude in assoluto i rapporti carnali con le donne. Per loro fortuna, l'avvocato è un gay da commedia, insolitamente distinto ma non bellissimo, avanti con gli anni e quindi abbastanza incallito nel suo “vizio” da non impensierirli.
Stacco. L'avvocato ha svelato il mistero per niente misterioso alla Fenech e alla Perego; mentre la prima è imbarazzata ma rassicurata, la seconda è inviperita: «Se lei me lo diceva prima, io prendevo un altro avvocato». Di fronte a questo esempio marchiano di discriminazione sul lavoro, Ressel protesta, ma la Perego rincara la dose: «Il fatto è che a lei lo zampino... non ci funziona!». «Ah, sì, e lei cosa ne sa?» fa notare l'avvocato, ma la virago l'ha già bello e piantato in asso. Allora lui, scattando come un pupazzo a molla fuori dalla sua impeccabile corazza professionale, sbotta «Che stronza!», accompagnando l'esclamazione con uno spasmo coreico/coreutico da checca indomita.
A dispetto di tutte le frasi offensive della Perego e dei cognati della Fenech, questo momento riesce a non essere sgradevole. Anzi, si avvicina quasi ad essere simpatico: lo spettatore che non covi troppo astio verso le macchiette gay, tanto spesso propinate dal cinema italiano, può guardare con tenerezza a questo coming out molto “vintage”... anche perché le commedie scollacciate non riservano molto di meglio, in materia di omosessualità.