recensione di Marco Valchera
White Frog
Se la massima aspirazione di White Frog era quella di attirare il pubblico di teenager americani, allora è comprensibile la scelta di un cast così raffazzonato: da quanto recita uno dei cartelloni pubblicitari, la pellicola di Quentin Lee, giovane regista e sceneggiatore di film con protagonisti asiatici e gay, raccoglie “attori” dal cast di Twilight, Teen Wolf, Glee (e aggiungo, da ex fan pentito, Pretty Little Liars). Dunque primo elemento acchiappa-adolescenti: bellocci che non sanno recitare. Secondo elemento acchiappa-adolescenti: una storia ridicola che lambisce ogni territorio del melodrammatico e che, ovviamente, si conclude con un happy end patetico.
Il protagonista Nick, interpretato da Booboo Stewart, è un sedicenne affetto dalla sindrome di Asperger il cui unico amico è il fratello maggiore, Chaz, amato dai genitori religiosi e bigotti. Ed ecco, dopo dieci minuti, arrivare la tragedia: Chaz viene investito e muore lasciando il fratellino solo e alla ricerca di amici. Pian piano Nick riesce a farsi conoscere e apprezzare dagli amici di Chaz, tra cui l’inizialmente ostile Randy, che lo coinvolgono in partite di poker e lo invitano a prendere parte a un’associazione, gestita dalla lesbica Ms. Lee, in cui tutti i ragazzi possono confessare su video i loro problemi e partecipare ad attività artistiche. Nick scopre che il fratello finanziava questa associazione con le sue vincite clandestine e che nascondeva un segreto ancor più grande: la sua relazione con Randy.
Tra coming out rapidi e indolori e buonismo a palate, White Frog (il cui titolo “rana bianca” si rifà a un aneddoto della nonna dei fratelli) celebra tutte le diversità, associando rischiosamente l’omosessualità alla sindrome di Asperger, un disturbo dello sviluppo, in un calderone da cui il messaggio da trarre è che non importa quello che si è, basta accettare se stessi.
Terribile.