Terapia di gruppo

1 marzo 2019

Un giovane Pedro Almodovar va in vacanza a New York, entra in un cinema e vede un film drammatico e pesantuccio firmato da Woody Allen (chessò... Un'altra donna). Esce esasperato, sbraitando «Gli faccio vedere io, a 'sti americani complessati». Coopta qualche attore statunitense e gira un film.

Se tra cinquecento anni degli archeologi cinematografici trovassero Terapia di gruppo senza titoli di testa, potrebbero illudersi che sia questa la sua genesi. Invece questo film brillante e sconclusionato, che è piaciuto a pochissimi, è opera di Robert Altman, anche sceneggiatore assieme all'autore della commedia teatrale originale, Christopher Durang, deluso dal risultato completamente irrazionalista.

Il film è praticamente un'unica, incontrollata scarica di iperemotività e di isteria collettiva, strutturata nei vari stadi di una reazione a catena (a lieto fine) che parte con un banalissimo appuntamento in un ristorante francese tra un uomo e una donna, Bruce (Jeff Goldblum) e Prudence (Julie Hagerty), conosciutisi tramite un'inserzione. Bruce arriva subito al sodo, fa apprezzamenti sui seni di Prudence e un attimo dopo rivela di avere un amante, il farmacista Bob (Christopher Guest).

Prudence, che è un concentrato di nevrosi, scappa immediatamente: «C'è solo che io odio gli uomini gay» si giustifica, provocando una silenziosa insurrezione nel locale, visto che sia tra il personale che tra la clientela si celano esemplari di questa vituperata “razza”. In particolare ci sono Andrew, un sensibilissimo cameriere coi capelli lunghi che scopriremo essere il figlio della psicoanalista di Bruce, e il misterioso Signor Bean, un uomo pelato con gli occhi strabuzzati, cliente fisso del locale, che – quando non molesta sessualmente il personale – reagisce a tutto ciò che accade con espressioni maliziose e divertite.

Bruce riesce a impedire temporaneamente la fuga di Prudence, perché ha già stabilito di vivere con lei per il resto dei suoi giorni e prefigura una vita rurale nel Connecticut con la ragazza... e con il suo amante Bob nella foresteria. Ma la madre francese di quest'ultimo (Geneviève Page) è in agguato, nascosta in mezzo a un gruppo di matrone variopinte, e telefona subito al figlio, svelandogli le malefatte dell'“ambidestro” Bruce e accendendo la miccia delle tensioni che dissesteranno il corso del film.

Seguono altri appuntamenti, altri litigi e parecchie farlocchissime sedute psicoanalitiche con due ciarlatani (la summenzionata dottoressa che ha in cura Bruce è interpretata da Glenda Jackson, mentre Tom Conti si occupa di Prudence). Entrambi i terapisti sono anche più disturbati dei loro pazienti, che ascoltano a malapena, e sono pesantemente omofobi, denominatore comune dei personaggi psicolabili del film. Prudence, per esempio, è letteralmente ossessionata dagli stereotipi di genere, e per compensare la propria insicurezza vorrebbe trovare un uomo iper-virile.

Quando la ragazza supera questi preconcetti e si concede a Bruce (a suo avviso reso più abile a letto dalla sua bisessualità), il dottore la definisce “una strega per checche” e la accusa di cercare rassicurazione tra le braccia di un “eunuco”, al che Prudence gli rende la pariglia, sminuendo le sue capacità amatorie e rinfacciandogli i suoi problemi di eiaculazione precoce. La psicoanalista invece si dichiara orripilata dall'atto omosessuale in sé, ma poi il suo stesso figlio, il cameriere Andrew, si rivelerà gay.

Anche i personaggi (del tutto o in parte) omosessuali non sono però esattamente immacolati: Bruce esplica la propria bisessualità in modo quantomeno indelicato nei confronti del suo compagno Bob, e già in passato – ci rivela – aveva cornificato la ex-moglie con l'uomo del gas. A detta di Bob (che nega l'esistenza della bisessualità), Bruce sarebbe stato fuorviato dalla visione di Domenica, maledetta domenica, in cui Murray Head si divideva tra il maturo Peter Finch e un'altra attrice di cui Bob non ricorda il nome (la stessa Glenda Jackson, che – come si è visto – è presente anche in questo film).

Interpretato da Christopher Guest in modo non originalissimo, con perenne nervosismo, Bob ha molti tratti stereotipati (anche se non negativi, in astratto): dorme in una specie di cubicolo giapponesizzante con la mascherina sugli occhi e da bambino giocava con le bambole. È il gay mammone per eccellenza e la teatralissima madre, Zizi, favorisce addirittura i suoi rapporti omosessuali pur di rimanere l'unica donna della sua vita. Bruce definisce Zizi una specie di “travestito”, per coronare il quadro del pedigree di gayezza di Bob.

Sarà proprio Bob, infine, a ergersi a vindice della comunità LGBT contro gli psicoanalisti: «Siete voi che avete oppresso i gay per secoli» urla alla terapista del compagno Bruce, mentre le spara con una pistola a salve.

Bruce a un certo punto tenta di costruire un ménage à trois con Prudence e Bob, ma non si sforza molto per farlo funzionare. Nel delirante finale, ambientato di nuovo nel ristorante francese (con tanto di catartica sparatoria sempre a salve), Bruce annuncia a Bob «Io e Prudence ci sposiamo!». «E io?» chiede Bob. «Beh, che problema c'è? Ti suicidi».

Bob rilancia chiedendo a Bruce di sposare piuttosto lui e propone di trovare «qualche svitato padre episcopale» per officiare il matrimonio, per poi adottare dei bambini; Bruce lo ripudia per coltivare la propria love story eterosessuale (tradirà anche Prudence con il lattaio o col postino?). Bob però non rimane single troppo a lungo e lo rimpiazza praticamente subito col cameriere Andrew.

Tirando le somme, Terapia di gruppo è un film inenarrabile che a volte fa spazientire, proponendo un divertimento non sempre efficace; da un'ottica militante comunque, non si può dire che sia offensivo, perché laddove tutti sono pazzi, sarebbe discriminatorio se i personaggi LGBT non lo fossero.

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