recensione diMauro Giori
Le notti del cinema
Nel recensire in poche righe questo romanzo di Domenico Paolella - regista e sceneggiatore di lungo corso - il rotocalco di estrema destra lo Specchio sottolineava la presenza degli «orgiasti capovolti»: «Tutti personaggi che in quest'opera alimentano un assurdo campionario di esseri innaturali, appollaiati sul filmeto di Via Veneto, giocano con la vita». Sono parole che ci dicono poco o nulla del romanzo che dovrebbero commentare, ma molto di un clima culturale, poiché sono sintomo dell'incurabile allergia della rivista (e dell'ideologia di cui era voce) nei confronti dell'omosessualità maschile, dal momento che il giudizio accentua a dismisura il peso di una pagina del tutto irrilevante nel romanzo, ignorando viceversa totalmente la figura della lesbica Alberta, tra le protagoniste della vicenda.
Gli "orgiasti capovolti" sono infatti solo comparse di poche righe. Tra di loro è possibile isolare unicamente il giovane Giangigi: di lui si capisce tutto appena apre bocca, commentando con un «divino» il colore del proprio costume durante una festa in una villa a Fregene, quando cerca di sedurre il protagonista Livio (figurante in miseria nell'attesa perenne di un ruolo), aspettandolo poi invano in camera. Lo ritroviamo una volta ancora nel mezzo di un'orgetta s/m in una casa sulla Salaria, alla quale prende parte anche il cugino aspirante regista del produttore Innominato, cui un giovane neodiplomato del Centro Sperimentale di Cinematografia deve fare da prestanome. Peraltro, se si eccettuano tale cugino e il ragazzo mezzo nudo (descritto come il figurinista del film) che apre la porta porgendo «una mano esile da malato cronico», non è chiaro se gli altri siano legati in qualche modo al cinema (benché Livio conosca «di vista» Giangigi, quindi si lascia intendere che anche quest'ultimo sia un frequentatore di Cinecittà).
Tutt'altro peso, si diceva, ha invece Alberta, ritratta con risvolti di credibile umanità ma nondimeno gelosissima della compagna Nora (scenate continue e schiaffi in pubblico fanno parte per lunghi anni del repertorio nelle rappresentazioni di lesbiche, e qui non si fa mancare nulla). Alberta vive in un certo senso alla periferia di Cinecittà, fingendosi aspirante attrice solo per registrare gli approcci truffaldini dei produttori, in modo da offrire alle giovani che lei stessa a sua volta concupisce un «cappio» con cui possano ricattarli e ottenere davvero il ruolo promesso. È quanto aveva fatto con Nora ed è quanto fa ora con Lea, ragazza di scarso talento e ancor più scarsa dotazione fisica, che nondimeno vorrebbe fare l'attrice. Alberta concepisce il suo piano come una vendetta contro la società maschile, di cui il cinema è il rappresentate perfetto: dal momento che tutti i produttori sono puttanieri, il lesbismo è l'unico riparo sicuro, l'unica garanzia, l'unica efficace possibilità di riscatto. Ma Nora per qualche tempo si lega stabilmente proprio a un produttore (pur di secondo piano) mentre Lea rifiuta l'offerta di Alberta, scandalizzata.
Con buona pace del recensore dello Specchio, è evidente che a Paolella gli omosessuali maschi invece non interessano proprio: muovendosi continuamente tra Via Veneto e Villa Borghese, dove i personaggi fanno frequenti puntate in mezzo alle molte prostitute, avrebbe avuto un'infinità di occasioni per riempirne il romanzo, se lo avesse voluto. Invece non va oltre questi quattro gatti fuori porta, che non hanno nessun effettivo rilievo nelle vicende e servono solo a restituire il colore del mondo che si vuole ritrarre (testimoniando così che ne fanno scopertamente parte), quello di Cinecittà nell'anno della crisi 1956, vista dai piani bassi, da chi raccoglie le briciole tra i tavolini dei caffè di Via Veneto. In scena vi è un'umanità mediocre e sconfitta, coinvolta in un mondo in cui conta solo la disponibilità sessuale e in cui a farcela è unicamente la maggiorata di turno. Tutti gli altri stentano a sopravvivere o si rassegnano a farsi mantenere, muovendosi in un mondo fatto di prostituzione, cambiali truffaldine, assegni scoperti, fallimenti, progetti improvvisati, raggiri, vane millanterie, digiuni forzati, volgarità. Quando in questo mondo fanno capolino Fellini, Blasetti, Alessandrini, sono come divinità materializzatesi da un altro mondo, un mondo di voci, fantasie, sogni e chimere, al quale gli antieroi del romanzo non potranno mai accedere.