Hic sunt leones (o Ultimo tango a Montreal senza Bazin, ma con tanto Kuleshov)

22 dicembre 2020

Vi è mai capitato di andare a vedere un appartamento e di trovarvi un aitante russo disponibile praticamente a tutto, che vi si offre seduta stante dando campione anticipato e gratuito delle sue prestazioni? Nemmeno a me. Per quanto mi sia capitato di tutto cercando casa a Milano, aitanti russi, mai. O anche non russi.

E invece pare che a Montreal queste cose succedano. L'acrobata del titolo (Micha) è appunto il russo di cui sopra, prestante perché il mestiere ne richiedeva la perfetta forma fisica, che però non gli serve più dal momento che la frattura di una gamba ha messo fine alla sua carriera. Ragione per cui le sue grazie le offre adesso con disinvoltura al primo che passa, in questo caso all'incerto acquirente dell'appartamento (Christophe), che supera d'incanto tutte le sue perplessità, che pure non sembravano di poco conto (probabilmente anche gli agenti immobiliari canadesi hanno lo stesso senso delle misure di chi compila gli annunci sui siti di appuntamenti). Ovviamente la sua segreta speranza è avere Micha incluso nel prezzo. Ed è proprio così che vanno le cose.

L'idea del regista è quella di uno studio psicologico di due solitudini, addirittura di due disperazioni: quella di Micha, che cova vendetta perché è convinto di essere stato vittima non di un incidente bensì di un sabotaggio da parte di un rivale; quella di Christophe, che non riesce a superare l'odio che prova per la madre (per ragioni che ignoriamo) nonostante costei sia in fin di vita in ospedale. Nessuno dei due è capace di fare i conti con il passato e di prendere in mano il proprio destino. Entrambi finiscono invece con lo sfogare le loro frustrazioni e i loro risentimenti uno sull'altro, dando al loro rapporto un po' animalesco (con solo una vaga parvenza sentimentale) un'inclinazione sempre più sadomasochistica, con soddisfazione reciproca.

Ora, vi è mai capitato che un fattorino di quelli che portano le pizze a domicilio, ricevuti i soldi non ne volesse sapere di andarsene e vi guardasse con occhi stupiti, quasi offesi, perché non gli avete chiesto di rimanere a fare quello che i fattorini che portano le pizze fanno sempre nei film porno? A Montreal succede anche questo. Salvo che quando il runner in questione (come si dice oggi) viene fatto sedere su una sedia per fare da voyeur a un nuovo tour de force s/m, si mette a piangere (un po' lo capisco, in qualche punto del film stavo per fare la stessa cosa).

Ora, ci sono alcune cose di cui ho imparato a diffidare negli anni, quando le trovo in qualche film, quanto dell'inglese usato per tappare i buchi dell'analfabetismo di ritorno. Tre di queste cose sono al cuore di questo L'acrobate:

  • rudimenti di s/m usati per dare spessore a una provocazione che non ne ha (di qui la scena del runner larmoyant);
  • un genitore a caso messo a passare gli ultimi giorni in ospedale solo per dare un qualche spessore a personaggi che non ne hanno;
  • il sesso performato dal vero per dare spessore a una vicenda che ne è priva con la pretesa di renderla, a seconda dei casi, più scabrosa o più autentica.

Per quanto trovi discutibile, in un film interamente incentrato su una pretesa riscossa del sesso, usarne una forma particolare per esprimere perversione, e per quanto trovi altrettanto discutibile mandare a morte un genitore per compensare l'inadeguatezza di uno sceneggiatore, è sul terzo punto che vorrei dire qualcosa di più, perché mi pare quello più debole.

Sono ormai legione le pellicole mainstream che hanno adottato la scelta di far performare agli attori il sesso dal vero, con intenti diversi: provocare, fare dichiarazioni politiche o semplicemente affrancare il sesso, nella sua prosaica semplicità, da una certa tradizione estetica che l'ha arbitrariamente esiliato dal dicibile e, soprattutto, dal mostrabile, abbandonandolo alla pornografia per esaltarne invece la versione censurata (chiamata erotismo).

Tutte intenzioni sacrosante, peccato solo che gli esiti siano normalmente deludenti, vuoi perché questi film finiscono spesso con l'essere semplicemente dei porno pretenziosi (e quindi noiosi, e poche cose nella vita sono peggio di un porno noioso), vuoi perché le buone intenzioni di norma rimangono tali. Vengono cioè affermate a parole ma sono contestualmente smentite nei fatti.

Quale sia il problema con L'acrobate è presto detto: gli organi in questione, di cui si sostiene il diritto a mostrarsi per rientrare nella norma e nella quotidianità, e a mostrarsi nel pieno delle loro funzioni, sono sistematicamente oggetto di un trattamento privo di verosimiglianza che li riporta all'eccezione e all'anormalità, iscrivendoli nuovamente sotto il segno del tabù. Sono "staccati" dai corpi degli attori e quindi da quel flusso narrativo "della realtà" cui li si vorrebbe riconsegnare.

Ogni volta che qui un pene si fa orgoglioso protagonista di lunghe inquadrature, è evidente che non è quello degli interpreti, bensì di controfigure. Si tratta di immagini insertate, sistematicamente in dettaglio (in modo che non si veda mai il volto del "proprietario"). Niente di nuovo. In Italia si usava (illegalmente) già negli anni Settanta.

Tra i suoi esperimenti degli anni Venti, Kuleshov ne aveva fatto uno per dimostrare come, se il cinema mostra dettagli coerenti di un corpo umano, lo spettatore inevitabilmente è portato a pensare automaticamente che si tratti di dettagli dello stesso attore. Ora, bisognerebbe aggiungere una postilla: questo non vale quando l'interesse unico del film consista proprio nell'esibizione del corpo, attirando di conseguenza l'attenzione dello spettatore su quegli organi che costituiscono "attrazioni" tali da intrattenere con il racconto relazioni problematiche. Fosse stata una mano, nessuno ci avrebbe fatto caso. Ma se si tratta di un pene, per di più in azione, la cosa cambia.

Quando dunque, dopo i dettagli della detta parte anatomica, si ritorna a campi sufficientemente larghi da includere in scena gli attori, è evidente che il sesso lo stanno solo simulando, tanto che il regista fa di tutto per giustificare la scomparsa di quegli attributi dalla scena, ricorrendo alle convenzioni più tradizionali (giochi di luce, fuori campo, tagli d'inquadratura, e così via), oppure fa di tutto per nascondere i volti delle controfigure. L'opprimente sistematicità di questi espedienti finisce con l'assumere la valenza di una excusatio non petita, proprio per il loro contrasto con l'esibizione in dettaglio, accentuando l'artificio più di quanto non accada nel consueto cinema istituzionale. La trasgressione ricade su se stessa e ottiene l'effetto contrario. Lo diceva già André Bazin: senza un'inquadratura d'insieme che certifichi l'autenticità di quanto sta avvenendo, qualsiasi pretesa di verosimiglianza va a rotoli. Se è la credibilità che si persegue, il montaggio è proibito. Vecchie regole, sempre attuali. Il suo esempio era molto chiaro: se mostro un bambino avvicinato da un leone, ma tengo il bambino in una inquadratura e il leone in un'altra, lo spettatore capirà cosa gli sto raccontando, ma non crederà mai che il bambino e il leone erano davvero insieme sul set, salvo che non mostri almeno un'inquadratura in cui i due si vedono insieme. Un bambino divorato sul set val bene la verosimiglianza che l'inquadratura d'insieme consente di ottenere.

Questa inquadratura (sostituite il bambino con i nostri eroi, e il leone avete capito con cosa) L'Acrobate non ha mai il coraggio di mostrarla. Quando vedo gli attori scompare il leone, quando vedo il leone scompaiono gli attori; se li vedo insieme è chiaro che sono altri attori, abituati a interagire con i leoni perché di mestiere fanno proprio quello. Mostrare il leone (solo perché il cinema tradizionale non lo fa) non basta, se non è, come dire?, attaccato agli attori giusti. Anzi è peggio, perché sottolineo l'inganno. Ma qui mi fermo perché la similitudine si sta facendo complicata.

Questo è un grosso problema in un film che si esaurisce nella parabola di una relazione prettamente carnale, avviata dai due protagonisti quando sono solo due emeriti sconosciuti e chiusa quando si conoscono poco di più, come avveniva in un famigerato film di Bertolucci. La cui noce di burro era decisamente più trasgressiva dei litri di schiuma da barba sprecati da Christophe per depilare l'acrobata proprio lì. Per due ragioni. La prima è che il campo/controcampo di nuovo sistematicamente separa l'interprete di Christophe, Sébastien Ricard, non solo dai primi piani dell'attore Yury Paulau, ma soprattutto dai soliti dettagli sul pene di un altro attore X. In secondo luogo, perché in questi dettagli il rasoio passa e ripassa un numero estenuante di volte, senza togliere un pelo che sia uno. Il pelo, semplicemente, lo pettina. Ecco, questo rasoio senza lametta è la metafora perfetta dell'intero film: più finto (nella sua pretesa di esibizione) della finzione (tradizionalmente reticente su certe cose). Dissanguare Paulau, o almeno X, avrebbe reso un servizio decisamente migliore al film.

Subito dopo abbiamo la conferma che si tratta dello stesso problema, quando il montaggio continua a separare accuratamente Christophe/Ricard non solo da Micha/Paulau, ma anche da X che urina sul primo, come ringraziamento del servizio reso. Quando l'inquadratura torna su Christophe, possiamo quindi tranquillamente immaginare che gli si stia versando in testa del tè, ed è un gran peccato, sia perché a questo punto lo spettatore ne ha anche abbastanza di essere preso in giro, sia perché il tè poteva essere molto meglio impiegato con una fetta di torta.

Benché affermi il contrario, L'Acrobate considera nei fatti il sesso ancora come qualcosa che richiede un trattamento a parte, addirittura un attore a parte. Quei... leoni che dovrebbero aggiungere qualcosa di importante a quanto ci viene detto dei personaggi e delle loro vicissitudini, ci parlano invece di altre persone, di altri corpi, di altre vicende, di altre psicologie e soprattutto di un altro cinema, tutto speciale, in cui hanno davvero cittadinanza, al punto da potersi mostrare senza vergogna insieme ai loro legittimi proprietari mentre fanno ciò che effettivamente è legittimo che facciano.

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