Fellini ha saputo creare una coreografia che non è solamente considerabile come orpello ornamentale ma come sostanza narrativa: un'estetica che diventa elemento strutturale dell'intreccio e della trama. Mi riferisco al Casanova e alle vicissitudini del protagonista, magistralmente interpretato da un Donald Sutherland il quale, narra la letteratura cinematografica, dovette essere sottoposto a un ritocco totale del viso disegnando con la massima fedeltà il viso descritto nelle celeberrime opere Histoire de ma vie del Casanova e su La storia della mia fuga dalle prigioni.
La fotografia non è solamente celebrazione delle immagini, ma diventa caratteristica portante di una struttura filmica che si discosta dal solito Fellini, come asserisce Morando Morandini su una sua critica apparsa nel 1976, anno di produzione del capolavoro, su Il Giorno, sottolineando come la compattezza stilistica e narrativa diano un significante incisivo alle sequenze ricche di un'espressività immaginifica. Le contraddizioni sorgono sia nella narrazione e nella sua progressione, ironia e solitudine, allegria e frustrazione, cinismo e riflessione, sia nei personaggi individuati nella trama. Casanova si imbatte nella conoscenza di diversi e variopinti protagonisti nei suoi lunghi viaggi per l'Europa, da Parigi alla Svizzera, da Londra alla Boemia per arrivare a Parma. Ed è proprio a Parma che conosce il gobbo di Dubois, uomo dagli incerti amori e molto eccentrico lo descrive Casanova, come incerti erano i confini di quel Granducato di Parma, conteso tra francesi e spagnoli, dove, precisa l'autore dei diari, diverse civiltà si incontravano e scontravano. La contraddizione del personaggio non è altro che un'emanazione di quella complessità sociale che vede strutture culturali composite e spesso inconciliabili confrontarsi in quell'epoca di dominatori e dominanti, di regnanti stranieri e popoli oppressi. Il gobbo Dubois cita in modo lirico e poetico un proverbio di elogio alle donne, pasteggiando a fianco di nobili aristocratiche dell'epoca, i cui vestiti sono talmente perfetti nel riprendere lo stile dell'epoca tanto da assicurare al costumista Danilo Donati, a sua volta scenografo e scrittore, il Premio Oscar nel periodo in cui tale riconoscimento aveva ancora una dignità artistica. L'ambientazione della cena non è necessariamente onirica, seppure ricca di suggestioni, a parere del sottoscritto, forti e ricche di significato, risaltando quell'uomo che non è mai nato, il Casanova letto dal regista e interpretato sempre puntualmente e con grande vitalità da un attore che ritengo essere uno dei migliori, se non il migliore della nostra contemporaneità. Niente è stucchevole, niente è mellifluo, niente risulta essere scontato nella sera conviviale, ma anche piena di tristezza e di ipocrisia, di miseria umana di eterni immaturi, esistenze fragili.
La performance tenutasi, poi, dal gobbo con un giovanissimo cantante in pieno stile barocco esprime un omoerotismo decantato da un coro di eunuchi leziosi quanto leggiadri. E' una celebrazione dell'amore con toni enfatici e grotteschi, dove la fisicità sinuosa del giovanissimo Gianbruno, il cantante principale, viene celebrata con voluttà e con cupidigia dalla mimica espressivamente morbosa di Dubois.
La coreografia risulta essere volutamente appesantita da un barocco costituito da orpelli e da rappresentazioni vestiarie enfatiche, in quanto enfatica è la stessa rappresentazione, ideata da un personaggio immaturo e ambiguo quale è, appunto, il gobbo. Tutto è allusivo e riconduce alla figura di un Casanova che, a differenza di altre superficiali quanto mai banali raffigurazioni cinematografiche, in Fellini è visto come anti eroe, un soggetto mai completato e completo, mai realizzato, fortemente ansioso di accreditarsi come celeberrimo uomo di cultura nelle varie corti europee, senza ottenere alcun riconoscimento, nella ricerca spasmodica del compiacimento anzichè del piacere.
La rappresentazione del gobbo di Dubois risulta essere stucchevole e denuda la miseria di un personaggio che vive nella totale ambiguità, distonia tra la sua reale essenza e l'apparenza. Ma Dubois ama mettersi in mostra, è eccentrico, nonchè risulta essere personaggio dai dubbi amori, così lo presenta appunto Casanova, per celare la sua forte passione celebrativa ed edonistica verso il corpo maschile, soprattutto se giovane e leggiadro, come lo è Gianbruno, appunto. La rappresentazione lasciva di Dubois aiuta a interpretare le psicologie dei personaggi del Casanova, soprattutto lo stesso protagonista, che risulterà mai autonomo e autodeterminato, insicuro e vittima di un'insana insoddisfazione.
Alla fine della baroccale e ridondante performance di Dubois ci sarà uno scambio di punti di vista antitetici tra Casanova e l'autore patetico della performance stucchevole ed autocelebrativa sul valore della donna e sul concetto di amore: più romantico quello di Casanova, più edonistico quello di Dubois, entrambi, comunque, irrisolti.