Pochi personaggi omosessuali hanno lasciato nella storia un'eco scandalosa quanto un oggi oscuro sacerdote bresciano del Settecento, don Giuseppe Beccàrelli. Il processo che lo vide protagonista fu soggetto di sermoni, invettive, memoriali, sonetti, medaglie commemorative, stampe popolari e perfino un quadro "a futura memoria". Tutti ne parlarono, e ancora decenni dopo i fatti esso veniva citato come esempio e monito.
Certo, di solito don Giuseppe è citato nei libri di storia bresciana solo come infame eretico, ma dallo studio delle fonti appaiono verità ben più "eterodosse" e "scandalose".
Padre Giuseppe Beccarelli nacque a Pontoglio, un comune vicino a Brescia intorno al 1666. Di origini modeste, nulla sappiamo dei suoi studi. Sappiamo però che acquisì nome e credito sul finire del 1600, con l'apertura, presso il palazzo del nobile Cesare Martinengo a Brescia, di un collegio sul modello di quello dei gesuiti.
Il collegio ebbe molta fortuna e in breve fu frequentato da giovani nobili bresciani e non. Beccarelli parve possedere un talento particolare nell'educazione dei giovani, tanto che un manoscritto afferma che un collegiale non voleva tornare presso i suoi genitori per un periodo di vacanza per stare vicino all'educatore. Don Giuseppe divenne pure il confessore di molte giovani nobildonne.
La fortuna nell'organizzazione del collegio e le amicizie altolocate incominciarono però a procuragli inimicizie soprattutto tra i "concorrenti": i Padri filippini e i gesuiti. Non mancò allora chi spargesse la voce che l'educazione dei suoi allievi non andava esente da sospetti di eresia quietistica.
Scattò così una prima inchiesta nei suoi confronti, che si interruppe solo per la morte del vescovo Gradenigo, nel 1698. Ma già nel 1701 le voci e le manovre erano riprese a tal punto che l'educandato venne chiuso per intervento del governo veneziano.
Beccarelli s'adoperò con tutte le sue facoltà per riaprire il collegio. Dedicò al vescovo di Brescia Dolfìn una commedia intitolata La metamorfosi della modestia (inedita sino ad oggi) [1], e forte dell'appoggio dei nobili bresciani riuscì nel suo intento: il collegio riaprì sotto il nome e la direzione di un sacerdote suo discepolo.
Nel 1706, dopo due anni di vacanza del soglio vescovile cittadino, fu eletto il cardinale Giovanni Badoér, molto vicino ai gesuiti. La nuova lotta contro leresia colpì infine il nuovo collegio Beccarelli, chiuso il 30 maggio 1708 su ordine del Podestà bresciano. Dopo cinque giorni il prete fu arrestato e condotto dapprima "in un luogo segreto" e poi in un torrione del castello di Brescia, dove fu custodito a vista e dove gli fu proibito di scrivere lettere.
Nell'aprile dell'anno successivo si aprì infine il processo nei suoi confronti. Beccarelli ritenne che i giudici ecclesiastici fossero mal disposti verso di lui e tentò una mossa disperata e controcorrente, per quei tempi, chiedendo di essere processato dai tribunali laici anziché dal tribunale ecclesiastico. Ma il Senato di Venezia (città sotto il cui dominio si trovava allora Brescia), per intercessione dell'Arcivescovo stesso, respinse la richiesta.
Messo alle strette e rimasto solo Beccarelli confessò una vasta serie di proposizioni ereticali, ma questo non bastò a Badoer, che lo fece torturare perché confessasse altro ancora.
Alla fine del processo Beccarelli fu costretto ad abiurare in pubblica piazza e condannato il 13 settembre 1710 a sette anni di galera. Il 17 luglio 1711 il Consiglio dei Dieci di Venezia vagliò il processo e ne inasprì la pena, condannandolo al carcere a vita.
E nei Piombi, uno dei carceri di "massima sicurezza" del Palazzo Ducale di Venezia, Padre Giuseppe Beccarelli morì, il 5 luglio 1716.
I suoi due fratelli Bernardino e Giambattista cambiarono il cognome in Beltrami: a tal punto ormai il nome stesso era disonorante.
Questo è l'iter giudiziario, quello che di solito riportano i libri di storia bresciana. Ma come si spiega il fatto che la pena di sette anni affibbiatagli dall'Inquisizione, che aveva giurisdizione sul reato d'eresia, sia stata mutata in carcere a vita dal Consiglio dei Dieci, che aveva giurisdizione su reati penali? Che reato si sommava a quello di eresia?
Ce lo spiega un manoscritto conservato presso la Biblioteca Civica Di Brescia [2] che ci informa del fatto che tra i reati imputati al Beccarelli ci fosse quanto segue: "con X [dieci, NdR] dei suoi collegiali arrivando sin a metter loro in bocca il membro virile insinuando non per ciò peccato, che li timori da loro suggeriti erano scrupoli mossi dal demonio per far perdere la pace dell'anima" .
Tra le dichiarazioni che il prete ammise, sotto tortura, di aver fatto, appare poi anche l'affermazione "Che il matrimonio è il sacramento dei porci, che bisogna obbedir al direttore anco nelle cose repugnanti, che li bacci, tatti disonesti, pollutioni, adulteri, commerci carnali ed altre simili sensualità dishoneste con le persone dell'uno e dell'altro sesso non siino peccati" .
Beccàrelli fu dunque un mostro che violentava gli studenti o un outsider di troppo successo, trasformato per questo solo fatto in vittima sull'altare sacrificale della Chiesa cattolica?
Forse né l'uno né altro. Perché se forse non fu un mostro, non fu neppure un angelo innocente.
Alcuni suoi discepoli "...ravveduti, si condussero spontanei a confessare quanto sapevano..." e pareva che tali confessioni fossero perdute, non essendovene tracce nelle biblioteche di Brescia. Tuttavia dall'Archivio di Stato di Venezia [3] ne sono emerse alcune, ricopiate per consentire al Consiglio dei Dieci di emettere la propria sentenza.
Così, il 28 giugno 1708, il padre Francesco Bargnani testimoniò al tribunale di Venezia: Tre o quattro anni fà, cioè quando fu soppresso il collegio del S e D Giuseppe Beccàrelli in Brescia, d'ordine pubblico [per ordine delle autorità], io mi trovavo qui nel nostro Collegio della Salute per accidente in camera del padre Domenico Aldegieri, (...) e discorrendo seco da soli della detta sopression di Collegio mi disse che l'aspettava molti anni prima, e richiesto da me della cagione rispose così: "Perché ritrovandomi io in Brescia appresso i signori Aldigieri, uno dei figlioli di detto signor Aldigieri, ch'era in collegio del detto Beccarelli, non voleva ritornar più in detto collegio, adducendo per motivo la corruttela della disciplina con cui ivi si viveva, e raccontò che detto Beccarelli, chiamatolo un giorno a conferenza spirituale, gli comandò per prova d'ubidienza di soffrire [subire] attioni di peccato nefando [sodomia, omosessualità], dicendogli che si sciogliesse e calasse le braghezze [braghe, pantaloni].
Al che il figliolo, ripugnando [rifiutando] con dire che non voleva commettere tal peccato, soggionse il detto Beccarelli che tal'atto non era peccato, ma il figliolo repplicò, anche piangendo, che non voleva fare tali cose se prima non si consigliava col suo padre spirituale.
Allora il Beccarelli gli dimandò chi fosse il suo padre spirituale et egli rispose a [sic] un Prete della Congregazine di San Filippo Neri, detto della pace. Allora il detto Beccarelli, stato alquanto sopra di sé, disse al sudetto figliolo che non occorreva consigliarsi col padre spirituale, havendo a lui fatta questa dimanda solamente per provarlo". Così mi parlò il detto padre Aldigieri.
Il 3 luglio dello stesso anno fu interrogato padre Domenico Aldigieri:
"Undici o dodici anni fa in circa (che può esser più o meno), mentre io era di stanza a Salò un mio cugino che si chiama Domenico Aldigieri, bresciano, ch'era stato nel collegio del medesimo Becarelli ed adesso è medico di professione, e non sò se stia in Brescia o sia condotto in alcuna di quelle terre del Bresciano, mi raccontò, non mi ricordo se in Brescia, in Salò o in quelle vicinanze, parmi [mi pare] da soli, che mentre stava alunno del detto Collegio andò una notte da lui il detto Becarelli al di lui letto, e voleva o vederlo nudo o andar in letto seco [con lui], o altra cosa di male che precisamente non mi ricordo, e solo sò che il mottivo (sic) per il quale era andato non era buono, per quanto mi diceva detto signor Domenico.
E mentre [poiché] esso haveva della repugnanza, detto Beccarelli li disse che si ricordasse di quel che si era letto di un santo, che si lasciava veder nudo, o andar nudo per le strade.
Insomma, Beccarelli angelo non fu. Tant'è che tra i numerosi motivi per cui fu condannato figurano i seguenti:
1) Che hebbe con un giovane prattica impura [rapporti sessuali] per molto tempo, a cui insegnò e fece credere che li atti disonesti che commetteva seco, cioè baci, toccamenti, polluzioni sino in bocca del medesimo, non erano peccati, e che però [perciò] non se ne doveva confessare, dicendoli che se li veniva qualche scrupolo per le suddette cose era una tentazione del Diavolo per levarli la pace dell'anima. Lo depone con giuramento l'istesso giovine. (...)
9) Che persuaso un giovine a riceverlo per padre spirituale, li dimandò se caso havesse commandato spogliarsi nudo sarebbe stato pronto à farlo, e rispondendo esso di sì li disse che mostrasse il suo passerino, o sia membro virile. Al che egli obbedì, e lo toccò et abbracciò, e per il corso di due o tre anni, dopo la conferenza spirituale fatta in camera sua lo toccava disonestamente, baciava, et abbraciava.
Et palesandoli esso giovine il scrupolo che ne aveva, li disse, per quietar la sua coscienza, che haveva usati seco [con lui] simili atti puramente per veder se haveva qualche difetto di rottura nelle parti pudende, e che dovesse quietarsi, senza pensar ad altro. Lo depone con giuramento esso giovane, ch'è personna nobile e religiosa.
10) Che admesso in camera sua un altro giovine per far conferenza spirituale, dopo la medesima li pose la mano nelle parti vergognose usque ad pollutionem [fino all'eiaculazione], et un'altra volta essortando il medesimo all'obbedienza, li slacciò i calzoni e tentò di sodomitarlo.
Anche in campagna faceva tirar la buschetta [tirare a sorte con la paglia] alli giovani, per far toccar la sorte à chi doveva andar seco [con lui] a dormire.
Lo depone con giuramento esso giovine, ch'è persona nobile etc...
Eretico e sodomita, padre Beccarelli non avrebbe lasciato traccia, come tanti altri suoi colleghi che riuscirono a "farla franca".
A distanza di trecento anni la necessità del ricordo non ha l'intenzione di una riabilitazione postuma, ma vuole solo ricollocare i tasselli di una storia omosessuale obliata impunemente e non a ragione da storici volutamente poco attenti.
Gli omosessuali ci sono sempre stati, i problemi erano diversi in passato ma le sofferenze umane simili: non possono essere dimenticati.
Quell'uomo ammanettato e dallo sguardo torvo, per quanto indegno, era uno di noi.