Matteo B. Bianchi ("Mi raccomando la "B.", con un cognome così ho un sacco di omonimi") ha trentasei anni e due romanzi all'attivo, Generations of love (Baldini & Castoldi, 1999) e Fermati tanto così (Baldini & Castoldi, 2002). Lo abbiamo intervistato chiedendogli i motivi del successo dei suoi libri, specie il primo, ormai definito il "romanzo generazionale gay" dell'ultimo decennio.
Matteo, ho letto Generations of love perché i miei amici più giovani mi trapanavano le orecchie: "è "il" romanzo gay della nostra generazione". L'ho preso per "dovere lavorativo"... ma una volta iniziato l'ho divorato fino alla fine. Come diavolo hai fatto?
Veramente io non ero consapevole di scrivere un "romanzo generazionale": la mia intenzione era scrivere un romanzo d'omosessualità normale, che mi sembrava mancasse in Italia. Per carità: c'erano esempi autorevolissimi di romanzieri gay che scandagliavano il dolore, il dramma, la passione omosessuale, tuttavia non trovavo da nessuna parte la normalità del crescere omosessuale, il fare i conti con questa realtà, e una volta affrontata viverla tranquillamente.
Volevo scrivere un libro che tracciasse un percorso profondamente individuale, ma in modo tale per cui altri potessero identificarsi.
Leavitt ha detto di aver scritto i romanzi che avrebbe voluto leggere come gay adolescente, e che nessuno aveva mai scritto prima.
È la stessa motivazione.
Detto ciò non mi aspettavo questa specie di plebiscito universale, per cui tutti mi dicono: "Sembra la storia della mia vita". Mi pare perfino esagerato.
Hai avuto una vita così banale?
(Ride) Effettivamente mi viene il dubbio di avere avuto la vita più anonima del mondo, e non è una cosa carina da pensare. Tuttavia penso che quel che permette l'identificazione non siano tanto gli eventi che racconto, quanto la scelta (e la mia è una scelta precisa) d'ambientazione culturale, cioè il fatto che ho scritto un libro in cui i riferimenti sono alla portata di tutti: Sabrina Salerno, i Righeira o Franco Battiato.
Sono le cose che nei libri di narrativa non si trovano, perché sono considerate troppo "basse", quindi si trovano solo nei libri trash, o pulp. Io invece ho scritto un libro che non è né trash né pulp.
Un libro che colpisce per l'autoironia. Il protagonista non è un super-omo né "il più grande scrittore vivente".
Sì. Penso che non bisogna mai prendersi troppo sul serio, che sia meglio parlare delle sfide della vita ridendoci un po' sopra, specialmente ripensandoci dopo.
Infatti tutto il libro è assolutamente privo di tragedie, anche parlando di quelle che, per me come persona, sono state tragedie: l'innamoramento, i primi tradimenti.... Queste esperienze le ho rese in tono ironico, cercando di toglierne gli aspetti drammatici, per sottolineare gli aspetti patetici che magari facevano ridere.
Scriverne così è stato molto liberatorio.
Quanto c'è di vero, in ciò che racconti?
Evidentemente i miei libri sono totalmente autobiografici, anche perché penso che l'empatia che stavo cercando col lettore fosse possibile solo rinunciando alla finzione. Avevo cercato di scrivere una prima stesura di Generations in modo diverso, in terza persona, con situazioni inventate, ma ne veniva fuori un romanzo stonato.
Ho capito che solo l'onestà, anche se in forma ironica, colorata, un po' "pop", era la chiave.
Detto ciò, la narrativa ha regole precise, per cui ci sono stati aggiustamenti: questo non è un diario, le cose non sono avvenute nell'ordine in cui le ho messe, certe parole non sono state pronunciate dalle persone a cui le ho messe in bocca... ma il senso degli episodi è quello.
Nel libro hai scritto il tuo indirizzo di posta elettronica. Non lo fanno in molti.
L'ho fatto per un motivo molto semplice: da lettore fanatico quale sono, alla fine di un libro che ho molto amato tante volte avrei voluto scrivere all'autore per dirgli quanto mi era piaciuto... e a volte l'ho anche fatto.
La posta elettronica è un meraviglioso strumento poco invadente, quindi ho pensato di offrire questa possibilità. Risultato: ho ricevuto centinaia di mail, continuo a riceverne anche oggi, quotidianamente, ed è una situazione meravigliosa. Non tanto perché ricevo complimenti, quanto perché è meraviglioso scoprire le storie del rapporto fra il lettore e il tuo libro (il fatto che glielo ha prestato il fidanzato, lo ha scoperto per caso in libreria, glielo ha consigliato la migliore amica...) ti svela un incontro magico fra il tuo libro e chi l'ha letto, e di cui non saresti stato al corrente.
Molti di quanti mi scrivono mi fanno poi domande sulla mia vita privata, perché avendola io messa sulla pagina si sentono autorizzati a chiederne il seguito... mentre io non sono così pronto a svelare tutto il resto: credo di avere già fatto la mia parte... in questo senso vince un po' il pudore.
Altri non credono neppure che dall'altra parte ci sia realmente l'autore, molti dicono: "questa lettera non la leggerà nessuno" o magari "la leggerà una segretaria", il che mi fa ridere perché mai potrei permettermela...
Lettere sgradevoli?
Nessuna in particolare, però io cerco di rispondere a tutti e ogni tanto alcuni lettori vogliono andare avanti in un rapporto che ovviamente non posso mantenere con centinaia di persone, e allora alcuni si trasformano, scrivendo che sono uno stronzo, che mi credo una star... Mi spiace, perché mi sembra ingiusto che non capiscano una cosa così ovvia come il fatto che io sono da solo e non posso passare il tempo a scrivere lettere...
Qualcuno ti chiede un "seguito" di Generations of love?
Non è mai stata una richiesta esplicita... Più che altro ho avuto problemi con la reazione di alcuni lettori di fronte al libro successivo, Fermati tanto così, che parla d'un obiettore di coscienza in un centro per bambini psicotici, un tema che si discosta molto da Generations. Ed è uno scarto consapevole: non volevo scrivere un libro che fosse il seguito del precedente, perché non volevo essere imbrigliato in una sorta di costrizione a vita a ripetere sempre lo stesso numero dell'esordio. Come a tanti è successo...
In effetti molti miei amici gay si sono detti "delusi" del secondo libro...
È comprensibile, perché mentre Generations è una sorta di tuffo nella vita di un ragazzo gay, Fermati parla di un'esperienza particolare che in pochi sono chiamati a vivere, e di una tematica ancora più particolare: la malattia mentale dei bambini. Ovviamente questa restrizione comporta un coinvolgimento molto minore da parte dei lettori gay.
Allo stesso tempo c'è una fetta di altri lettori che non ha letto Generations e che si è avvicinata a me per questo libro, e devo dire che questa sorta di scissione non è così forte: in effetti mi aspettavo che fosse più forte.
In realtà molti mi hanno scritto di aver apprezzato questa scelta perché a loro volta, come lettori gay, non si sentono obbligati a leggere cose che parlino di tematica gay, ed hanno apprezzato che parlassi di altre cose mantenendo un certo sguardo, un atteggiamento che una volta tanto non era rivolto alla questione gay.
A proposito di sguardo gay: nel romanzo d'esordio di Golinelli, tuo e di Mancassola ha ampio spazio un viaggio ad Amsterdam. Un rito di passaggio gay obbligatorio... o siete solo copioni?
Amsterdam è la san Francisco d'Europa. Da ragazzino avevo il mito di Amsterdam, che oggi non ho più: come gay adulto preferisco ben altre città, trovo splendida Lisbona, o Londra, per esempio.
Ad Amsterdam non ci sono più tornato... il che non toglie che da ragazzino la mitologia che avevo preso dai libri e delle riviste fosse quella di Amsterdam.
Come l'hanno presa tua madre tua sorella, di cui parli in Generations?
Io ero preoccupato soprattutto per i miei genitori, che abitano ancora in paese: un romanzo come Generations era una specie di sputtanamento pubblico... La reazione è stata ottima, la gente li ferma per strada facendo i complimenti, dicendo a loro che hanno avuto coraggio lasciandomi pubblicare un libro come quello. Sono diventati una specie di esempio di famiglia liberale e all'avanguardia.
Questo mi diverte, e diciamo che mi è anche servito di lezione, perché una volta tanto ero io che avevo pregiudizi nei confronti del mio paese, che mi ha dimostrato d'essere molto più all'avanguardia di quanto mi aspettassi.
Devo anzi dire che mia sorella e i miei amici usano il mio libro come specie di biglietto da visita, regalandolo e dicendo: "A pagina 57 si parla di me".
Accetti l'idea di avere scritto un romanzo gay, o anche tu diventi isterico se solo lo s'insinua?
Io sono uno scrittore gay e non ho paura di ammetterlo. Trovo abbastanza patetico che un autore, ancor oggi, abbia bisogno di dichiarare che non è un autore omosessuale, perché ritengo che la sessualità sia un elemento che influenza profondamente la propria scrittura. La differenza, semmai, sta nello stile. Sta nel riuscire a raccontare le proprie storie con un linguaggio, un tono, uno stile appunto, che le rendano interessanti per tutti.
Quando dico che ho scritto un libro di omosessualità normale, è perché anch'io aspiravo a un pubblico il più universale possibile, per cui l'aspetto sessuale (pur così esplicito e presente in ogni riga) finisce in secondo piano rispetto al senso reale del libro, cioè il racconto d'una maturazione, il racconto del diventare grandi.
Non a caso poi tra le centinaia di lettere che ho ricevuto c'è un'altissima percentuale di lettori etero che si sono identificati moltissimo nel libro. Questo dimostra che l'aspetto sessuale non è quello che viene maggiormente fuori dalla narrazione.
Non a caso il tuo libro fa a meno del sesso raccontato.
Sì, e non è per una questione di pudore, ma è perché si tratta di uno degli aspetti su cui più si è scritto, e io non avevo bisogno di proporre un tema su cui avevano già dissertato tanti e tanto autorevolmente. Volevo raccontare altro. E anche in questo non sono mancate le critiche, perché alcuni mi hanno accusato di avere scritto un libro che non aveva il coraggio di affrontare certe tematiche, senza capire che io me ne fregavo di affrontare certe tematiche, che oggi ormai sono ovunque. Una volta avevano una componente di provocazione... oggi non più.
Il mondo omosessuale ha bisogno di narrazioni in cui riconoscersi...
Sì, ma sono convinto che ciò che ha funzionato nel mio libro è che io ho parlato dei Duran Duran, cioè della questione omosessuale accostata a un background culturale profondamente pop, togliendo quell'aura di letterarietà che pare obbligatoria per chiunque scriva di omosessualità oggi..
In altre parole hai ambientato la vita omosessuale nel mondo omosessuale reale, non in un rarefatto "Luogo dell'Immaginazione", come fa la penultima generazione dei scrittori gay.
Sì, e non credo di essere l'unico: in Italia si sta formando una nuova leva di autori, come Mancassola, Demarchi, Mancinelli per dirne alcuni, per i quali l'omosessualità non è più un problema, ma un elemento da cui poi parte la narrazione. Questa nuova leva sta rivolgendo la sua attenzione a una forma d'omosessualità più concreta. Anche se ciascuno ha le sue caratteristiche: io ad esempio prediligo il tono più ironico.
Svelami i tuoi cinque scrittori gay cult.
Mi metti in difficoltà perché i miei scrittori cult non sono necessariamente gay, comunque ci provo. Per questioni generazionali, innanzi tutto Piervittorio Tondelli, che ho avuto anche la fortuna di conoscere di persona. Poi Andy Warhol, che io (forse sono l'unico al mondo) amo proprio come scrittore, più che come pittore o film maker. E direi anche Jean Cocteau, benché sia lontanissimo dal mio tipo di scrittura, ma mi ha sempre affascinato tantissimo. Tra gli italiani, ho un'adorazione dichiarata per Gilberto Severini, che è sicuramente uno degli scrittori più sottovalutati del nostro panorama italiano: io sono sempre in attesa che scoppi il boom e tutti se ne dichiarino grandi fans. Infine citerò uno sconosciuto, Joe Keenan, che è un autore americano di una comicità strepitosa, di cui in Italia è stato tradotto un solo un libro, Oggi sposi.
Progetti?
A febbraio debutta al Ciak di Milano, con Platinette e Benedetta Mazzini, una commedia molto camp, Bigodini? È il mio primo tentativo di scrivere un testo esclusivamente comico.
Sto poi scrivendo "Dispenser", una trasmissione radio quotidiana di RadioDue Rai.
Infine, sto molto lentamente scrivendo il romanzo nuovo. Per la prima volta un romanzo puramente di fiction... non autobiografico.