Identità fluttuanti, incursioni in territori sessuali e sentimentali sconosciuti, inediti itinerari di confronto e di conoscenza, ironia irriverente e cultura camp: tutto questo nel nuovo romanzo di Matteo B. Bianchi, Esperimenti di felicità provvisoria.
I personaggi del romanzo hanno tutti qualcosa in comune col protagonista di Generations of love, che sembra essersi moltiplicato. E' così? In parte sì. Dopo due romanzi profondamente autobiografici come Generations e Fermati tanto così , ho voluto scrivere un libro di pura invenzione. Eppure mi è stato inevitabile proiettare molti aspetti della mia esperienza personale nei personaggi che ho creato. Il mio compagno ha dato una definizione divertente della cosa. Quando ha letto il romanzo ha detto: "Questo libro sei tu esploso". Mi piace l'idea di essere deflagrato in una serie di personalità diverse.
Chi dei quattro rispecchia più degli altri Matteo B. Bianchi? Nessuno in particolare. Ho seminato qua e là: Valentina è una scrittrice e le esperienze che le accadono sono simili ad alcune che ho vissuto io. Marco è un appassionato di editoria undergroud e fa una fanzine, come me. Elvis è un pubblicitario, come lo sono stato io per molti anni. E Mao, che all'apparenza è il personaggio più distante dalla mia esperienza personale, è quello che esprime più da vicino il mio modo di pensare.
Ci sono similitudini molto forti in tutti e quattro. Ma allo stesso tempo ho giocato con le loro vite e ne ho tirato fuori storie che alla fine non hanno molto a che vedere con la mia.
Mi dici qualcosa del tuo amore per la cultura camp, molto presente nel romanzo, come in tutte le cose che scrivi? Da dove nasce e come si alimenta? Nasce dal fatto di avere una madre acconciatrice, suppongo. Dall'avere trascorso un'infanzia circondato da signore cotonate che si raccontano pettegolezzi mentre si asciugano i capelli sotto il casco. Il camp io l'ho respirato fin dalla culla.
Anche mia sorella, se è per questo, sa essere camp quanto e più di me. Mi ricordo che da piccoli, io, mia sorella e il mio amico Paolo (quello che in Generations ho ribattezzato Claudio) trascorrevamo interi pomeriggi a registrare finte trasmissioni radiofoniche su cassetta, in cui facevamo tutte le voci, imitando telegiornali, pubblicità, sceneggiati... Non esattamente giochi standard da ragazzini, mi rendo conto, eppure erano cose che a noi venivano spontanee. Da adulto continuo ad avere una predilezione per un certo tipo di ironia irriverente e molto baraccona: il primo Almodovar, i film di John Waters, alcune serie tv inglesi come Absolutely fabulous o Little Britain sono cose che amo moltissimo.
Archiviati i temi dell'iniziazione e del coming out, i tuoi personaggi gay si confrontano col mondo e in alcuni casi sembrano mettere in atto un progetto didattico per far conoscere agli etero la realtà gay: Elvis porta Mao prima in una libreria gay, poi in un bar di "orsi"... Io non parlerei di didattica, semmai di confronto. A me è successo diverse volte di conoscere un nuovo amico etero e dopo un po' sentirmi dire una frase del tipo "Ma sai che prima di frequentare te avevo un'idea completamente diversa del mondo gay?". In verità quelli che aveva in testa erano solo pregiudizi, ed è bastato un confronto reale per farli svanire.
Credo sia un'esperienza che capiti a molti gay, quella di cambiare la percezione degli altri semplicemente frequentandoli, parlandoci. Il romanzo si occupa molto di questo aspetto: di realtà diverse che scelgono di raffrontarsi.