Jarman aveva esordito come scenografo per
I diavoli di Ken Russell, film del quale rimane traccia nella sequenza iniziale di
Sebastiane. Il resto del film, girato in economia e tra amici in Sardegna, ha invece un'impronta decisamente personale. L’esperimento linguistico (tutto il film è recitato in latino) sortisce un effetto che ha più a che fare con il kitsch che con il realismo, che interessa poco a Jarman. Nel raccontare la storia di Sebastiano, il santo che da tempo era già divenuto un protagonista dell'iconografia gay, al regista interessa soprattutto indagare il rapporto tra sessualità e repressione, sociale e religiosa: Sebastiano è infatti ritratto come un represso che agisce contro la sua natura per assecondare la sua fede, e si arriva anche all’esposizione, pur velata, di tesi provocatorie, fino al limite di una rilettura dell’amore di Sebastiano per Dio in chiave gay (un piccolo anticipo di quello che sarà il dissacrante
Il giardino). Le idee del regista sono, fin da questo primo film, chiare ed estreme nel proporre un’immagine innocente dell’omosessualità: va da sé che il personaggio più interessante del film non è certo il martire Sebastiano, bensì il sofferente capo della guarnigione romana, del resto l’unico personaggio in relativa evoluzione. L'accorata rivendicazione di dignità di Jarman si esprime in una visione dell'omosessualità che ha già quei toni intimi ed elegiaci, evidenti in sequenze quali quelle dei giochi d’amore in rallentato, che manterrà anche nei film successivi.