recensione diVincenzo Patanè
Sebastiane
Sebastiane (forma vocativa latina del nome, quindi "oh Sebastiano") è il film che ha reso celebre Derek Jarman. Girato in Sardegna con mezzi modesti da una troupe del tutto gay, ha la caratteristica di essere parlato - caso unico nella storia del cinema - in latino, anche se curiosamente venato da un accento inglese.
Jarman ha riletto il martirio del santo gay per eccellenza in una chiave sadomasochistica, in cui è facile leggere la prevaricazione del diverso - che qui paradossalmente è chi non accetta l'omosessualità - e la forza distruttrice dell'ideologia religiosa. La figura di Sebastiano viene infatti vista come archetipica della repressione cristiana di una libera sessualità: il soldato, che trova solo nel delirio un momento di sincerità, si autopunisce con voluttuoso masochismo perché si sente colpevole di amare Severo, che gli appare come "un dio biondo e solare"; mentre Severo, non potendo possedere quel corpo bramato ardentemente, sublima in sadismo il suo desiderio sessuale.
Ma Sebastiano è sacrificato in nome di tutta la comunità (si pensi alla scena simbolica della cattura del cinghiale) mentre tutti i suoi aguzzini concretizzano quell'omosessualità - consumata apertamente solo dalla coppia Adriano/Antonio, protagonisti di un'efficacissima scena erotica au ralenti - in discorsi ed in atteggiamenti che rimandano in continuazione al sesso.
Il film trova forse un suo limite in un eccessivo estetismo che fa perdere forza alla provocazione. Molti temi si risolvono su un piano soprattutto estetico (come nella scena in cui Sebastiano è trafitto, che è un'evidente citazione di tanta pittura del Quattrocento e Cinquecento) e che talvolta può sconfinare nel kitsch, come nella scena iniziale: una danza fallica (del grande Lindsay Kemp) in cui vengono mimati accoppiamenti omo che si concludono con un'eiaculazione collettiva. Un preziosismo formale capace però di dare vita ad effetti molto poetici, come nell'estatiche visioni dei corpi nudi di Sebastiano e dei soldati o di lui che si specchia nella pozza d'acqua e declama una poesia al sole.
Il commento musicale di Brian Eno è eccellente e contribuisce a creare un'atmosfera sospesa, soprattutto nella straordinaria scena grandangolare del supplizio.