recensione diFrancesco Gnerre
Balletti verdi. Uno scandalo omosessuale a Brescia nel 1960.
Lo scandalo ebbe una portata enorme: furono inquisite circa 200 persone e quello che colpisce è il fatto che ad essere perseguito non fu tanto il particolare reato di corruzione di minore, quanto lo stile di vita degli omosessuali fino all’incitamento all’odio e al razzismo. I giornali furono unanimi nel condannare senza appello il “dilagante circuito del vizio”. E se gli organi di informazione cattolica insistevano sul “torbido mondo di anormali, vittime di vizi innominabili e degradanti”, i giornali dell’opposizione comunista, facendo appello al pericolo di una “giustizia di classe”, non si stancavano di insinuare che i “colpevoli” andavano cercati nel mondo corrotto della borghesia e del clero. L’ ”infame vizio” non poteva interessare la classe operaia.
Si fantasticò di sfarzose abitazioni utilizzate come sedi di convegni maschili, si fecero nomi di personaggi famosi, si diede libero sfogo a tutti i morbosi fantasmi di una piccola borghesia di provincia. Gli omosessuali, vittime di veri e propri rastrellamenti, vissero momenti drammatici. Qualcuno si suicidò, qualcuno scappò da Brescia e dall’Italia inseguito dal marchio del vizioso invertito e dal dileggio goliardico di barzellette di cattivo gusto.
La cupa atmosfera di quegli anni è lontana, “l’omosessualità, scrive Bolognini, ha acquistato visibilità e un’immagine meno stereotipata”. Eppure, se istituiamo un inevitabile confronto tra ieri e oggi e interroghiamo il passato per capire meglio il presente, non riusciamo a liberarci dall’impressione che, nonostante tutte le sbandierate tolleranze, le cose veramente cambiate sono poche. Quaranta anni fa ci sono state persone perseguitate ingiustamente, fino ad essere costrette al suicidio o alla fuga e ci sono state persone responsabili di tutto questo. Un minimo di buon senso suggerirebbe che oggi a mettere in discussione i loro pregiudizi e a vergognarsi fossero i responsabili di quelle vite stroncate. E invece no. Anche in questo libro i nomi dei persecutori sono lì con la loro protervia di sempre, solo un po’ più “tolleranti”. Chi invece prova vergogna sono ancora gli omosessuali che rilasciano drammatiche testimonianze di ingiustizie subite, ma intendono conservare un anonimato che oggi non ha più nessun senso se non quello di testimoniare che il problema vero è ancora lì, inamovibile, e che il nemico dell’omosessualità, prima che nelle stupide parole del papa di qualche rozzo demagogo, va cercato nella mancanza di stima di sé” che caratterizza ancora moltissimi omosessuali.