recensione diGiulio Verdi
Amburgo vuol dire RAGAZZI!
Del terzetto di punta dei cosiddetti “Trentisti” inglesi, Stephen Spender è decisamente il meno conosciuto – sempre snobbato dalla critica, mentre Christopher Isherwood e Wystan Auden hanno avuto fortuna perdurante anche oltremanica e oltre-anni-Trenta. I tre si conobbero a Cambridge nel 1925 e rimasero sempre legati da una profonda amicizia. Specialmente in Isherwood e Spender era inoltre vivo un sentimento di proto-miltanza omosessuale, cui Spender restò leale anche dopo il suo matrimonio con una pianista russa (e figli annessi)[1].
È proprio grazie all’opera di uno dei due figli di Spender, l’artista Matthew (peraltro ormai naturalizzato italiano), che il nome del padre sta tornando a chiedere il posto che gli spetta nell’ambito della letteratura: negli ultimi tre anni, in collaborazione con l’editore fiorentino Barbès, ha curato una nuova edizione dell’autobiografia paterna (Un mondo nel mondo, con un’introduzione illuminante sull’omosessualità del padre) nonché la pubblicazione de Il diario di Sintra, raccolta di lettere private e pagine di diario dei tre amici risalenti al loro soggiorno in Portogallo tra il 1935 e il 1936.
Proprio da una frase dell’appena citata introduzione di Un mondo nel mondo mi pare opportuno partire: «Un rapporto omosessuale condotto in un ambiente così repressivo, circondato da sguardi ostili, diventava in qualche modo anche un gesto politico, con venature socialiste. (…) L’attrazione provocata da[i giovani ragazzi tedeschi], in quanto rappresentanti delle classi inferiori, era talmente esotica da finire per diventare una specie di terzo sesso!». È questa, in sostanza, la trama di The Temple – unico romanzo di Spender, un’autobiografia faticosamente pubblicata dopo una lunghissima gestazione: sessant’anni infatti trascorsero tra la stesura del primo manoscritto, nel Luglio 1929, alla pubblicazione dell’edizione definitiva nel 1988.
Tre ragioni spiegano la continua procrastinazione: in primo luogo, rispetto alla produzione letteraria che si può considerare analoga (mi riferisco in particolar modo alle “storie berlinesi” di Isherwood), The Temple è sicuramente inferiore. Proprio per via di un percepito scarso valore letterario giunsero rifiuti anche molto illustri, tra cui da segnalare quello di Isherwood stesso (che consigliò all’amico di rivedere le bozze), di Eliot (per conto della Faber & Faber) e di Leonard & Virginia Woolf (per conto della loro Hogarth Press). Se è vero che si tratta di un romanzo con poche pagine davvero memorabili dal punto di vista strettamente letterario, va detto che The Temple rimane un documento storiografico di indubbio valore – il che conduce al secondo motivo della continua dilazione.
Il “tempio” cui il titolo si riferisce si rivela essere, fin dalle prime pagine, una metafora presa in prestito dalla tradizione cristiana e riferita a un vero e proprio culto del corpo maschile – più nello specifico, dei corpi dei giovani omosessuali tedeschi nell’estate del 1928. Come ha ben sintetizzato Isherwood in apertura della sua autobiografia Christopher e il suo Mondo, «Berlino voleva dire RAGAZZI!»: in quegli anni infatti la Germania fu il centro propulsore dell’arte espressionista, con le sue rappresentazioni primitive, dolenti ma anche erotizzanti del corpo nudo – oltre che del neonato movimento naturista (Natkultur) e soprattutto di un primo movimento di liberazione omosessuale, che faceva capo al dottor Magnus Hirschfeld (colui cui si deve la definizione del “Terzo Sesso”, quello omosessuale appunto). L’espatrio di Spender dal grigiore di una Oxford vittoriana, dove si censurava D. H. Lawrence, alla Amburgo del Bauhaus e dei locali per soli uomini, assume i connotati di un romanzo di educazione – in particolare sessuale. Spender ha scritto che «in quegli anni, per gli autori americani la libertà era l’alcool; per noi inglesi era il sesso»: tema centrale di The Temple è proprio la liberazione sessuale e la successiva necessità di repressione della stessa, con l’avvento dei totalitarismi (il focus è chiaramente più orientato sui preparativi del regime hitleriano, ma non manca un’accesa polemica anti-comunista). Spender volle comunque mantenere il romanzo “pre-politico” e quindi pre-campi-di-concentramento, per non scadere nel dolorismo (e anche perché la Storia la conosciamo tutti, anche i pochi ciarlatani che la negano).
Infine, molte pagine di diario e alcune lettere dimostrano che Spender era cosciente della modestia letteraria del proprio romanzo: un’innata insicurezza fu il terzo e ultimo fattore che contribuì al continuo rinvio. Ciononostante, Spender ebbe il coraggio (o forse l’incoscienza) di sottoporre al vaglio delle case editrici, già all’inizio degli anni ’30, un romanzo in cui relazioni sentimentali e rapporti fisici omosessuali erano affrontati senza sottintesi e senza morbosità – al contrario di Isherwood (che vi alludeva semplicemente, almeno nei suoi primissimi racconti e romanzi) e Auden (i cui versi erano tendenzialmente oscuri per natura, e che arrivò a definire l’omosessualità “un peccato” dopo la conversione al Cattolicesimo in tarda età). Questa di Spender fu una decisione non facile – che ebbe ripercussioni sia nella sua sfera privata, sia sulla sua figura pubblica. Una ventilata minaccia di azione legale da parte di uno dei ragazzi tedeschi che compare come personaggio nel romanzo, omosessuale non dichiarato, fu la causa di un secondo parere negativo da parte di Eliot. Persino uno zio di Spender, a lui molto caro, si rifiutò di leggere il manoscritto una volta saputo di cosa trattava. Inoltre, le leggi del tempo non erano certo clementi: il parlamento inglese depenalizzò l’omosessualità maschile soltanto nel 1967 e Spender attese fino al 1986 per riprendere in mano i fogli del manoscritto – trovando questa volta maggior fortuna in fase di pubblicazione.
A detta di Spender, lo spirito militante era già presente nel manoscritto originale di fine anni ’20 – e la revisione degli anni ’80 avrebbe riguardato soltanto la seconda parte del romanzo, quella dai toni più cupi e filosofici. La reazione delle case editrici e dei familiari dello scrittore sembra confermare tale asserzione: per dissipare ogni dubbio, sarebbe utile un’analisi comparativa tra l’edizione finale del romanzo e il manoscritto originale (custodito almeno parzialmente nella biblioteca dell’Università del Texas a Austin).
Una nota più pettegola, per concludere. Oltre che il tema centrale di The Temple, l’omosessualità fu anche l’oggetto del contendere di Spender con David Leavitt, in una causa legale che è rimasta celebre in ambiente letterario. Spender accusò Leavitt di aver saccheggiato Un mondo nel mondo per la stesura di Mentre l’Inghilterra dorme (1993), romanzetto rosa in cui la Barcellona dei tempi della guerra civile diventa una sorta di Miami per turisti sfaccendati e oltremodo sentimentali. Leavitt ammise di aver preso in prestito alcuni passaggi da Spender – ma imputò la colpa della mancata citazione della fonte a un consiglio fraudolento degli avvocati della sua casa editrice. Leavitt arrivò persino ad accusare Spender di omofobia: è evidente che non aveva mai letto The Temple né una delle sue tante biografie. La critica si schierò ignobilmente compatta a fianco del giovane autore americano e in difesa dei suoi tre etti di pagine al saccarosio: ciononostante, il tribunale impose a Leavitt di espungere le parti incriminate nelle nuove edizioni del suo Harmony e – se ancora non si fosse capito – anche il sottoscritto preferisce di gran lunga Spender.
[1] Numerose biografie non autorizzate (spec. H. David, Stephen Spender: A Portrait With Background, Heinemann, Londra 1992 & D. Leeming, Stephen Spender: A Life in Modernism, Holt & Co., Londra 1994), tuttavia, documentano l’incessante predilezione di Spender per i ragazzi giovani e contengono altrettanto numerosi resoconti delle continue liaisons amorose che Spender intrattenne con loro (e spec. con “B.”, un suo studente texano) anche in età molto avanzata.