recensione diFrancesco Gnerre
Interrogatorio della Contessa Maria
La donna si sottopone volentieri all'interrogatorio, esprimendo gioiosamente una sua visione del mondo che rompe tutti gli schemi morali piccolo-borghesi dell'interlocutore. Gli dimostra che "la sessualità è inquinata da secoli di coglionerie morali religiose letterarie" e alla domanda sul numero dei suoi amanti, risponde candidamente che sono circa duecento in un anno, comprese però le repliche, "non frequenti del resto".
Rileggendo oggi il romanzo viene da pensare più a certe pagine di Edmund White (si pensi a quando lo scrittore, in Sinfonia dell'addio, considerando una media di tre partner diversi alla settimana, calcola che in venti anni ha avuto un'avventura con circa 3.120 uomini) piuttosto che alle eroine della nostra letteratura degli anni Venti. E come White aggiunge che tutto quel sesso non era privo di intimità e emozioni, così Palazzeschi, per bocca della Contessa Maria, parla di "ammirazione, stima, soddisfazione" di entrambi i partner e aggiunge che dopo, "stringendosi la mano ci si saluta, ci si guarda dentro gli occhi con orgoglio da Re". Insomma, appare evidente che la Contessa è lo stesso Palazzeschi.
Nella seconda parte del romanzo, incalzata dalle domande del narratore, la Contessa racconta gli inizi delle sue avventure e della sua liberazione dalla famiglia. E qui lo sberleffo nei confronti della morale, della religione, dell'istituzione familiare e della "virtù" trova momenti esilaranti e di straordinaria modernità.
Scritto il romanzo, negli anni 1925-1926, o forse ancora prima, Palazzeschi lo ritenne probabilmente troppo scandaloso per pubblicarlo, ma sul fatto che pensasse a una pubblicazione non ci sono dubbi dato che a suo tempo lo aveva annunciato come "in corso di stampa" o "di prossima pubblicazione", e dato che ha fatto in modo che lo si ritrovasse tra le sue carte in due redazioni manoscritte.
D'altronde il suo non è, nella letteratura italiana, l'unico caso di autocensura e differimento a dopo la morte di un'opera ritenuta "scandalosa" (un esempio tra i tanti: l'Ernesto di Saba).
Né la critica che parlava di un suo "malsano gusto della sconvenienza" lo aiutava a trovare anche pubblicamente quel coraggio che era emerso così cristallino nella scrittura...