Nel 1926, Aldo Palazzeschi (o meglio il suo editore) annunciò questo romanzo come opera in imminente uscita; invece il libro non è stato pubblicato che nel 1988, e perciò postumo. Leggendolo, non è difficile rendersi conto del perché: nel momento in cui era uscito, dimostrava un’audacia di contenuti che poteva nuocere parecchio all’autore, tanto più che non si trattava di scrittore particolarmente simpatico al fascismo in via di consolidamento: anni dopo, quando Marinetti, che di Palazzeschi restò sempre amico, cercò di farlo entrare all’Accademia d’Italia, si oppose Mussolini in persona, e non se ne poté far più nulla. La contessa Maria del titolo è una mangiatrice di uomini, un’insaziabile predatrice di maschi, di preferenza belli, giovani, muscolosi e virili, non importa se raffinati e di nobili maniere o popolani e sanguigni; e l’interrogatorio è il suo lungo dialogo con un giovane poeta cui racconta la sua storia e le sue avventure. Pur mancando di veri dettagli erotici, la narrazione, in rapporto all’epoca in cui doveva apparire, doveva risultare spiazzante per l’allegra, compiaciuta e amorale promiscuità esibita con lieta sfacciataggine dalla contessa; il tutto, poi, intessuto d’un sapido toscano discolo e ammiccante che (leggere per credere!) non ha più nulla del proverbiare vieto da bozzetto strapaesano che tanto piaceva ai tempi di Palazzeschi. A me, però, questa contessa Maria è parsa tutt’altro che femminile: dalla parlata alle tecniche di seduzione al tipo di maschio prediletto, questo è un uomo espertissimo in battuage nell’Italia degli anni Venti; magari una specie di controfigura dell’autore quale gli sarebbe piaciuto essere. Insomma, questa nobildonna un po’ zoccola, che irride a tradizioni familiari, sociali e religiose, fa l’apologia del sesso a volontà e la fa con un linguaggio tutto suo, una specie di fiorentino futurista col birignao, per gl’ignari sarebbe apparsa subito una creatura insopportabilmente scandalosa, e per gli happy few, ma forse non abbastanza few da fare sentir lo scrittore al sicuro da pericolose rivelazioni, un compiuto ritratto in cifra d’un uomo predatore di maschi. Troppo, in effetti, per gli anni Venti. Per i nostri tempi, viceversa, la contessa Maria è soltanto un’altra, simpatica figura bizzarra fra le tante inventate da Palazzeschi, e, perdonando qualche occasionale lungaggine, possiamo leggerne le vanterie e le storie con leggerezza e divertimento.
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