recensione diMauro Giori
Hotel New Hampshire
Singolare commedia del periodo americano di Tony Richardson, maestro (gay) del free cinema, servita da una regia spigliata, un buon cast e una sceneggiatura sopra la media.
Tratto da un romanzo di Irving, Hotel New Hampshire disegna un universo strambo e irregolare dove tutto sembra esistere solo per contraddire la norma. Ma la ricerca dell'irregolarità non è (o almeno non sempre) gratuita e questi personaggi strampalati finiscono col fare emergere una dimensione quasi fiabesca (specie verso la fine, quando la piccola ma troppo grande Lilly fa quasi da filtro interpretativo con le sue favole).
Così, sebbene tra inconsuete iniziazioni sessuali (stupri, incesti, rapporti lesbici) e improbabili impennate narrative (come un'improvvisa celebrità che non ha nulla da spartire con i tipici happy end hollywoodiani) trovi posto una gran quantità di morti, il film rimane una commedia gustosa e piacevole che non contraddice la sua patina malinconica.
In questa atmosfera è soprattutto possibile svelare e mettere a nudo le sottili trame del fato che si manifestano in modi anche inquietanti attraverso una perturbante serie di doppi e di collegamenti profondi e inspiegabili (in particolare tra i due ambigui personaggi interpretati da Modine, ma un fatale filo rosso si incarica anche di legare Freud al padre che ne eredita tutti i fallimenti e le sfortune: l'orso, che non si era rivelato buon compagno, l'albergo fallimentare, persino la cecità).
Per non parlare degli scherzi amorosi che la sorte riserva a tutti: pensiamo in particolare ai sentimenti incestuosi tra John e Franny, che portano entrambi a cercare una serie di insoddisfacenti sostituti. Ricerca che sfocia neI paradosso finale dell'unione tra John e la lesbica innamorata a sua volta di Franny, che dal canto suo sposerà l'eterno spasimante di colore che aveva sempre ignorato: qui la malinconia deflagra di fronte alla rassegnazione all'insoddisfazione e a un compromesso che segna il rientro (pur relativo) nelle norme.
L'esistenza dei Berry, famiglia disfunzionale se mai ve ne fu una, sembra infine simboleggiata dal cane impagliato (che in originale si chiama più significativamente Sorrow) che perseguita tutti mandando a monte la notte brava di John con "Tette", causando incubi e premonizioni a "Uovo" e al nonno, e un attacco di malinconia alla madre.
La vita è insomma un po' come, nelle parole di Franny, «la posizione della mucca o quella dell'elefante: l'essenziale è che fa male». C'è poco da stare allegri, eppure si ride di cuore.
Diffidare delle copie passate in tv: sono tagliate.