recensione diVincenzo Patanè
James Bidgood
"Anonimo": così era riportato su tutte le filmografie di Pink Narcissus, i cui scarni credits vantavano solo il nome del montatore, Martin Jay Sadoff, e la produzione, l'indipendente Sherpix. Per quanto riguardava invece il regista, da sempre circolava il nome di Jim Bidgood, ma nessuno sapeva esattamente il perché e pochissimi comunque conoscevano chi fosse questa persona. Altri, poi, affermavano con ostentata sicurezza che dietro il film vi fosse nientepopodimeno che la vestale del cinema gay d'avanguardia, Kenneth Anger; ma gli stessi non erano certo in grado di spiegare perché Anger si fosse trincerato dietro l'anonimato, laddove aveva invece firmato senza colpo ferire gli audacissimi Fireworks e Scorpio Rising.
Il mistero è stato ora risolto. I più attenti già avevano colto qualche avvisaglia ne Il nudo maschile, il libro della Taschen uscito qualche mese fa, dove compaiono sei foto di Bidgood, alcune delle quali evidentemente riferentesi al film. Ora un libro, in vendita a partire da luglio - James Bidgood, L. 75.000, edito sempre da Taschen e distribuito dalla Logos - rivela chi sia Bidgood, ne ricostruisce la biografia e, soprattutto, chiarisce il perché non abbia mai rivendicato la paternità del suo film. Curato da Bruce Benderson, il libro offre circa 250 illustrazioni, comprese molte foto di scena del leggendario film.
Stravagante e dal look appariscente, Bidgood arrivò diciottenne nel 1951 a New York con la speranza di dar corpo alle sue fantasie, nutrite dai film hollywoodiani in technicolor, e di diventare una stella del musical. In breve, riuscì ad inserirsi nella off Broadway, recitando en travesti nel famoso Club 82. In più si fece conoscere come designer dei costumi per il ballo del Mardi Gras e, soprattutto, come fotografo di nudi maschili nei più celebrati muscle magazine (come Demi-Gods, The Young Physique, Muscle Teens e Muscleboy), riviste che proprio in quegli anni vivevano il loro momento d'oro.
Nel 1964 riuscì a trovare un produttore per il film che da tempo sognava; il budget veramente irrisorio strideva però fortemente con le sue idee altisonanti, visto che l'opera voleva essere la summa monumentale della propria poetica. Per ben sette anni, Bidgood trasformò il suo minuscolo e costipato appartamento a Manhattan nel suo lussureggiante mondo onirico: lui ed il suo modello, Bobby Kendall (che rimane incredibilmente identico per tutti gli anni delle riprese...) vissero di fatto accampati nelle scenografie di turno, destinate poi a essere rimpiazzate da altre nuove. Tra di esse, addirittura un gabinetto con degli orinatoi in polistirolo a grandezza naturale o una vasca riempita di centinaia di litri di latte. Bidgood non si limitò però alla regia; con abilità ed inventiva, cucendo e ritagliando, creò tutto quello che servì sul set: costumi di chiffon, un letto con i cigni dorati a mo' di spalliera, le farfalle di seta che compaiono in continuazione, mutande trasparenti e altro ancora.
Nel 1971 i produttori persero però la pazienza e decisero di dare comunque alla luce il materiale girato, senza il consenso del regista. Esso fu montato da Martin Jay Sadoff e vi fu aggiunta della musica; per Bidgood, che un giorno non trovò più in studio i rulli girati, il colpo fu tremendo: il più grande giocattolo della sua vita era stato distrutto. Perciò tolse il suo nome dai titoli e non ne volle sapere più niente, anche perché, così com'era, il film era solo una pallida idea di ciò che aveva in mente.
Per anni Bidgood ha vissuto rintanato, lontano dai clamori, nel suo appartamento di Manhattan. Solo ultimamente ha deciso di uscire nuovamente alla ribalta. Anzi, lo sta facendo alla grande poiché sta realizzando il progetto di un film sulla sua vita: FAG. Chi ha visto il materiale già girato, sostiene che, divertente e toccante nello stesso tempo, sia ancora più bello di Pink Narcissus (e si spera con tempi più brevi...).
Quest'ultimo, gonfiato a 35 mm (era stato girato in parte a 8mm, in parte a 16mm), si offre oggi a noi in qualità scadente, un po' scolorita, sia per la mancata rifinitura di Bidgood sia le soluzioni sperimentali da lui utilizzate (basti pensare che in certi casi lo stesso pezzo di pellicola è stato impressionato fino ad otto volte per ottenere degli effetti, veramente sorprendenti, di sovrapposizione). Alla regola non sfugge, naturalmente, neanche la videocassetta, pur rimasterizzata, edita all'inizio degli anni Novanta (in Italia distribuita dalla General Video).
Ottima ragione, dunque, per apprezzare le foto del libro, sia quelle di scena, in cui si può ammirare la sfolgorante bellezza di Bobby Kendall (uno pseudonimo, in onore dell'attrice Kay Kendall), sia quelle tratte dalle riviste. Foto che ribadiscono la particolare estetica - underground ma anche un po' postmoderna - di Bidgood, fatta di scenari irreali, urbani o perfino subacquei, che non fanno niente per nascondere la loro artificialità e che si esaltano in un delirio di colori psichedelici e metallici. Una fantasia scintillante ed ammaliante, volutamente camp e fortemente sensuale, che glorifica come poche altre volte il corpo maschile.