recensione di Mauro Giori
A Change of Heart
A Change of Heart è uno di quei melodrammi politicamente corretti che la televisione americana aveva preso a sfornare, di tanto in tanto, negli anni Ottanta e Novanta, dove tutto in realtà è pensato per convogliare la simpatia del pubblico sul personaggio eterosessuale e sui suoi patemi. Può trattarsi di una mamma, come nel caso di Segreto di famiglia, o di una moglie, come in questo film. E bisogna riconoscere che la povera Elaine scopre nel modo peggiore l’omosessualità del marito Jim, tanto amato: lo trova infatti nella camera di un motel insieme all’amante. Maschio ovviamente.
Le cose si fanno anche più complicate perché ci sono di mezzo due figli adolescenti, nonché il lavoro: i due, medici entrambi, dividono infatti anche l’ufficio.
Gran parte del film è televisione corretta di quegli anni: piatta e senza fantasia ma tesa nello sforzo costante di trattare tutti bene e di assicurare a tutti un lieto fine. Omosessuali compresi, il che per l’epoca era molto. Così Elaine, che ha la parte del leone e si può concedere qualche eccesso nel suo strazio, troverà il suo equilibrio concentrandosi sul lavoro, non prima di essersi assicurata che tutti stiano bene; Jim, dal canto suo, dopo qualche settimana di sperimentazione travagliata, che lo porta anche a una seduta di genitori gay, sceglierà la sua strada uscendo di casa ma rimanendo amico di tutti. In mezzo ai due c’è un uomo allo stesso tempo virile (niente stereotipi, qui si fa sul serio!) e comprensivo (di quelli che nemmeno Elaine, ovvero qualsiasi spettatrice onesta, può negare siano buoni partiti).
Anche i figli superano tutto sommato presto l’imbarazzo, al punto che le reazioni strazianti delle rispettive scoperte appaiono nell’insieme sin troppo forzate, come tutto il dramma al lavoro, dove l’uomo rischia di essere licenziato per la sua omosessualità. Ma qualche forzatura fa parte delle regole del melodramma: ad azzoppare il film semmai è il fatto che le forzature non servono tanto a gonfiare il dramma, quanto a farlo sembrare tale, per due ragioni sostanziali. La prima è che a fine millennio questo genere di vicende rischiava di apparire a una parte non indifferente del pubblico già vecchia e superata, sicché si cercava di intorbidire le acque più del necessario. In secondo luogo perché un dramma fatto apparire tale ma che in realtà non lo è poi tanto si presta meglio a essere sistemato alla svelta assicurando un lieto fine esemplare.
È il caso, in particolare, della parte che avrebbe potuto essere più forte e coraggiosa: quella che riguarda il figlio Jesse. Inizialmente il ragazzo ci viene mostrato singolarmente friendly con un coetaneo gay quando costui viene preso in giro da un terzo ragazzo. Dopo aver scoperto del padre, esce con la sua ragazza e cerca di farci l’amore insieme, ma non ci riesce. Quindi torna a cercare l’amico gay, e lo osserva dall’auto. Nulla fa presagire il dramma, sicché si cerca di indurre lo spettatore a immaginare che anche il figlio possa essere gay. Invece nella sequenza dopo Jesse viene arrestato per un’aggressione omofoba. Il dramma nel dramma però si risolve da sé, come tutte le altre tensioni del film, e serve solo a fare da deus ex machina per rappacificare la famiglia: confessato l’assalto e le sue ragioni, il giovane aggredito (che ha riportato solo un taglietto sul sopracciglio), mosso a compassione, ritira le accuse e tutti perdonano e amano Jesse, che fa pace persino con il padre.
Ovviamente è ancora presto per mostrare l’affettività omosessuale: qui marito e moglie si baciano e vanno a letto; Jesse si rotola con la fidanzata sui sedili dell'auto; ma marito e amante possono solo parlare, mentre il ragazzetto gay vittima del (moderato) pestaggio può al massimo abbracciare un altro ragazzo per salutarlo. Ma almeno il fatto che Jim sia un medico ci risparmia i luoghi comuni correnti all’epoca sull’Aids (la malattia è liquidata in una battuta), e nonostante tutto vada esattamente nella direzione che ci si aspetta senza scarti né sorprese, si tratta di un pezzo di televisione onesto e costruttivo.