Il giardino di Shahrzad

Dove ci sono persecuzione e oppressione «la lingua dell'amore» assume nel mondo del web il diritto di cittadinanza e di esistenza. È qui che diventa possibile la libertà di pensare, di dire e di scrivere senza paura e con orgoglio «azizam», amata mia, amato mio.
Firmato con l'acronimo-pseudonimo «Vida» - che riassume, tutelandole, le identità di tre lesbiche e di una transessuale iraniane - il libro Il giardino di Shahrzad (traduzione di Virginia Gorgan, Il Dito e La Luna, Milano 2006, pp.160, 13 euro) è una composizione a più voci, una testimonianza contro l'oscurantismo fondamentalista e contro la sharia, la legge islamica che punisce con le frustate e con la pena capitale i rapporti amorosi tra persone dello stesso sesso.

La protagonista di questo romanzo-verità, Shahrzad, come la celebre eroina delle Mille e una Notte, raccoglie le storie e le libera per salvarsi. Ha ventinove anni, studia archeologia e, dopo oltre un decennio di «esilio volontario» in Italia, ritorna per una estate nella sua città natale, Shiraz.

Punto di partenza della narrazione è il diario in cui la ragazza annota il proprio disagio nel dover indossare di nuovo un velo («il mio lasciapassare, il mio visto d'ingresso»), lo spaesante disorientamento nel ritrovarsi in un contesto insieme familiare ed estraneo; e, soprattutto, l'incontro a lungo atteso con Parvin, l'amica d'infanzia della quale è da sempre innamorata.
Ma Parvin ora «ha gli occhi velati di tristezza, la bocca contratta». Nel frattempo si è sposata, ha avuto una figlia, e «non vuole parlare del passato, del nostro passato», «ha cancellato noi due insieme».
Dice: «Mi hanno tolto la voglia di amare».

A Shahrzad, ospite indesiderata nella terra della sua oppressione, non resta che rievocare da sola «quel piacere che per noi non aveva ancora un nome», quel segreto mai dimenticato e che tuttora non può essere svelato.
Perché, come spiega sinteticamente e amaramente:
«Essere single in Iran è una malattia mentale.
Essere omosessuali in Iran è una malattia mortale.
Non potendo essere curati, i malati vanno direttamente al patibolo».
E infatti, dopo la cosiddetta «rivoluzione islamica» del 1979, almeno quattromila persone sono state uccise a causa del loro orientamento sessuale.

Il rapporto con Parvin però non è finito e anzi risuscita in modo imprevisto durante una eclisse; ma si allarga, con un graduale cambiamento del registro di scrittura, alla «blogosfera» della diaspora iraniana in diversi paesi, cioè alla rete di contatti che tramite Internet ha dato voce a innumerevoli perseguitati e oppressi che prima non potevano esprimersi.
Il «Weblogestan», neologismo che designa il mondo di Internet in lingua persiana, diventa per Shahrzad un luogo di liberazione non solo virtuale, un giardino in cui fiorire e dove conquistare un «noi» proibito, una dimensione comunitaria.

Il suo diario solipsistico si trasforma in comunicazione, confronto di esperienze, scambio di informazioni, desideri e solidarietà, forum di idee, strumento di denuncia, costruzione di lotta.

Nel grande laboratorio personale e politico degli internauti lgbt di origine iraniana, si arricchisce di consapevolezza e speranza:
«Nel mondo non c'è un conflitto di civiltà, c'è un'alleanza fra integralismi religiosi.
Ma l'Iran potrebbe riservare altre sorprese. In fin dei conti sono trent'anni che sorprendiamo noi stessi».
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