recensione diDaniele Cenci
Paradiso amaro
Un lascito testamentario (due lettere, una pistola arrugginita) fa irrompere in un vecchio la marea dei ricordi.
Su, su, risalendo verso un passato ormai mitizzato, si affollano le immagini sgranate di una antica passione, quando in un campo di prigionia per militari alleati Tom era rimasto stregato dall'intima, tonificante, virile amicizia del giovane Danny, entrambi accomunati da una violenza che ne aveva ferito l'infanzia.
Ci si materializza davanti un mondo sfigurato, un eden amaro da cui sembra bandita ogni umanità, una terra d'esilio dove stracci, pidocchi e pacchi della Croce Rossa, sbobba e fango s'impastano al sangue, al sudore, allo sperma, alle paure, all'abulia dei soldati, alla crudele idiozia degli aguzzini.
In questo universo carcerario s'improvvisano commerci, vanno in scena surreali spettacoli per esorcizzare la micidiale noia della truppa: in un'attesa di libertà sempre delusa. Tra le desolate baracche (così simili ai dormitori di "Bent" o di "Furyo"), dopo aver dissimulato a lungo i suoi sentimenti, Tom verrà travolto dalla limpida acqua del desiderio, finendo per aggrapparsi come un naufrago in un mare insidioso al conturbante caporale-pugile Danny, "al sottilissimo filo della bava di vento" che è la loro vita. Fino a giurare che nulla e nessuno potrà mai derubarli del sogno intravisto della loro liberazione: dalla prigionia, dalla paura dell'amore.
Una scrittura palpitante di umori che, dopo aver rinviato sino allo spasimo l'agognato amplesso, si chiude su una siderale nostalgia: la porta segreta della loro comunione sessuale, timidamente socchiusa prima del distacco, non potrà mai più esser spalancata perchè il tempo delle scelte è ormai scaduto.
Afrika (1920-2002), autore di questo straziante romanzo-memoriale destinato a rimanere per sempre impresso nel cuore dei lettori, se n'è andato a pochi mesi di distanza dalla pubblicazione di "Bitter Eden".