Rainer Werner Fassbinder

Rainer Werner Fassbinder nasce il 31 maggio 1945 in un paesino della Baviera. I suoi genitori divorziano quando lui ha solo sei anni e viene cresciuto dalla madre, che per poter svolgere in tranquillità il suo lavoro di traduttrice spedisce spesso e volentieri il piccolo Rainer al cinema.

Dopo aver frequentato senza gran profitto vari istituti, nel '64 Fassbinder decide di abbandonare gli studi. Rifiutato dalla scuola superiore di cinema, frequenta per due anni una scuola di recitazione. Qui conosce, tra gli altri, Hanna Schygulla che sarà una delle sue muse ispiratrici. Tra il '65 e il '66 gira i suoi primi cortometraggi, ma è il teatro ad assorbirlo completamente fino al '69. Prima aderisce al gruppo off dell'action-theater e poi, quando questo viene chiuso dalla polizia nel '68 (con l'accusa di attività illegali), fonda l'antiteater, attivo fino al '71. In seguito trasformerà in film alcune delle oltre venti opere messe in scena in questi anni.

Approfittando delle sovvenzioni statali appronte per rilanciare la cinematografia nazionale, anche mediante collaborazioni con la televisione, nel '69 Fassbinder inizia la sua intensa attività di regista cinematografico, che lo porterà a diventare il più popolare autore del cosiddetto Nuovo Cinema Tedesco (un movimento di giovani registi inteso a rinnovare il cinema nazionale sul modello della nouvelle vague francese), nonché il più prolifico (in soli tredici anni girerà ben trenta lungometraggi, due film per la televisione e due serial). Per garantirsi la più totale indipendenza, già nel '70 fonda con altri colleghi una compagnia di distribuzione, la Filmverlag der Autoren, e l'anno successivo una sua compagnia di produzione, la Tango Film.

Un tiranno democratico

Dei giovani registi tedeschi Fassbinder è anche quello che fa più discutere. Non bisogna certo aspettare l'uscita postuma di Querelle de Brest (Querelle, 1982) perché il suo cinema sollevi polemiche. Ma sarebbe bastata la sua turbolenta vita privata per far parlare di lui.

Nel 1971 il regista sposa l'attrice Ingrid Caven, ma la notte delle nozze si chiude nella camera matrimoniale con il compagno Gunther Kaufmann. Il divorzio, due anni dopo, non sorprende nessuno (anche se Fassbinder aveva già avuto un'altra relazione con una donna, Irm Hermann, e ne avrebbe avuta un'altra in seguito, con la montatrice Juliane Lorenz, con cui avrebbe meditato anche di avere un figlio).

Le relazioni omosessuali di Fassbinder, mai tenute segrete, non si sciolgono in modo altrettanto pacifico. Quella con Hedi ben Salem, assistente di produzione e poi protagonista di La paura mangia l'anima (Angst essen Seele auf, 1973), finisce ad esempio in tragedia quanto Salem, esasperato per le continue infedeltà di Fassbinder, dopo averlo minacciato più volte irrompe in un bar e accoltella tre persone, per poi fuggire in Marocco. Fassbinder lo andrà a visitare l'anno dopo con il pretesto di fargli interpretare una piccola parte in Il diritto del più forte (Faustrecht der Freiheit, 1974).

Quando rompe con Kurt Raab, scenografo, attore e suo collaboratore, questi assolda un piccolo criminale perché picchi a sangue il regista. Per fortuna di Fassbinder, il criminale preferisce poi avvisarlo anziché aggredirlo.

Ancora peggio finisce la relazione con Armin Meier, che si suicida nel '78 (anche Salem si sarebbe poi impiccato in una prigione francese nel 1982, l'anno stesso in cui Fassbinder morirà di overdose, a soli 37 anni). Fassbinder tenta invano di elaborare il lutto girando Un anno con tredici lune (In einem Jahr mit 13 Monden, 1979), una lunga e amara riflessione sul suicidio dedicata alla memoria di Meier.

Per testimonianza unanime di tutti coloro che l'hanno conosciuto o vi hanno collaborato, Fassbinder era molto volubile, capace di estrema dolcezza e di estrema aggressività, e finiva con l'esasperare chi gli stava intorno, compagni per primi: scelti tra proletari di cultura inferiore alla sua, Fassbinder si compiaceva di comandarli e umiliarli pubblicamente.

Un breve spaccato di questa sua burrascosa vita di coppia emerge nell'episodio che ha diretto per Germania in autunno (Deutschland im Herbst, 1978), dove il regista si mette in scena nei panni di se stesso insieme al suo compagno Meier, appena poche settimane prima che questi si suicidi. Fassbinder non censura il suo caratteraccio e il suo atteggiamento di superiorità nei confronti del compagno, che comanda, maltratta, insulta e persino picchia e caccia di casa davanti alla macchina da presa, pur chiamata e rendere il regista paladino e unico difensore della democrazia di fronte alle tentazioni fascistoidi della madre e di Meier in seguito agli ultimi drammi del terrorismo. La disparità non scompare nemmeno nei momenti di estrema, sincera dolcezza.

Quando, nei suoi numerosi melodrammi, Fassbinder accoppia partner profondamente divisi per estrazione sociale, cultura e carattere, non fa altro che mettere in scena le sue stesse relazioni. Non si può certo dire che il pessimismo di Fassbinder (lui preferiva definirlo realismo) sia un calcolato atteggiamento intellettuale: rispecchia invece in tutta sincerità la sua esperienza personale.

L'amore ai tempi del capitale

Sebbene nella produzione di Fassbinder vi siano opere di genere diverso in cui consistenti si rivelano i debiti nei confronti della nouvelle vague, e in particolare di Godard, sono i melodrammi a dominarla e ad aver segnato la percezione comune del cinema fassbinderiano.

La svolta verso il melodramma avviene a partire dal 1971 sull'onda della scoperta dei film di Douglas Sirk, senza dimenticare il modello di Joseph Leo Mankiewicz, omaggiato in apertura di Le lacrime amare di Petra Von Kant (Die bitteren Tränen der Petra von Kant, 1972). L'amore per Sirk (cui dedica anche un famoso saggio [1]) porta Fassbinder a cercare un contatto più diretto con il pubblico popolare e a concepire un cinema capace di coniugare lo straniamento brechtiano e l'immedesimazione propria del genere melodrammatico. Da questo singolare connubio di due elementi apparentemente contraddittori nasce il carattere peculiare e difficilmente imitabile del cinema fassbinderiano, astratto, calcolato e intellettuale, eppure appassionato, sincero e toccante.

Spesso incentrati sui personaggi femminili, i melodrammi di Fassbinder sono votati a un'analisi lucida e disincantata dell'amore nella nostra società. Nelle relazioni di coppia si rispecchiano i più generali "rapporti di potere" della società capitalista che impediscono una devozione sincera e disinteressata e soprattutto un equilibrio reale tra i partner, inevitabilmente divisi da differenze di classe, di cultura, di disponibilità economica.

L'impostazione politica dei film di Fassbinder non ha risparmiato al loro autore critiche da parte della sinistra stessa [2] e del movimento femminista (che non ha gradito - né capito - Le lacrime amare di Petra von Kant).

Per completare il quadro necessario a comprendere la scomodità del personaggio Fassbinder e la sua totale mancanza di interesse nel compiacere alcun gruppo di potere sarebbero da aggiungere le accuse di antisemitismo conseguite a I rifiuti, la città e la morte (1974) e le perplessità del movimento gay nei confronti di svariate sue opere.

Fassbinder ha affermato in un'intervista che tutti i suoi film sono improntati su "uno sguardo omosessuale", ma ha messo in scena rapporti omosessuali solo in cinque film: Le lacrime amare di Petra von Kant, Il diritto del più forte, Germania in autunno, Un anno con tredici lune e Querelle. Confrontandoli con gli altri risulta evidente la sostanziale indistinguibilità dei rapporti di coppia gay rispetto a quelli eterosessuali.

Fassbinder rimprovera agli omosessuali l'incapacità di creare rapporti autentici e diversi da quelli delle coppie eterosessuali e della famiglia tradizionale, che egli aborre come pure l'istituto matrimoniale (lo dichiara senza mezzi termini all'inizio di Germania in autunno, auspicando che i suoi film possano servire a demolire matrimoni in crisi inutilmente trascinati dai partner per semplice routine).

Fassbinder ha dichiarato di trovare


crudele che gli omosessuali non abbiano in questa società la possibilità di mostrarsi come sono realmente e che siano al contrario obbligati a comportarsi in un modo che non è il loro. È per questo che gli omosessuali appaiono così miserevoli, poveri, tristi [3].


Nonostante la loro posizione emarginata, gli omosessuali sembrano quindi incapaci di farsi promotori di innovazione, e anzi non riescono nemmeno a sottrarsi ai ruoli di genere codificati dalla società, che replicano sistematicamente nelle loro relazioni. Petra von Kant abbandona gli uomini, che tuttavia dominano metaforicamente la scena dal dipinto che ricopre la parete della sua camera. Il dipinto commenta la sua relazione con la giovane modella, fondata su una profonda disparità economica. Allo stesso modo Eugen e Fox (Il diritto del più forte) discutono su come dividersi i ruoli maschile e femminile, mentre Erwin in Un anno con 13 lune arriva addirittura a cambiare sesso per completare questo adeguamento ai ruoli cui sembra impossibile sfuggire.

Sebbene, a detta del regista, le protagoniste di Le lacrime amare di Petra von Kant rappresentino lo stesso Fassbinder (Petra) e il suo compagno di allora, Gunther Kaufmann (Karin), il film più direttamente autobiografico rimane forse Il diritto del più forte, nel quale il regista si riserva il ruolo che nelle sue relazioni era sempre del suo compagno, cioè quello del proletario ingenuo che si lascia manipolare e comandare per amore.

Il quadro fosco e claustrofobico di questi film li rende decisamente poco adatti a fare da bandiere dei rinati movimenti per i diritti degli omosessuali, che guardano con favore al regista dichiarato, e non possono ignorarlo soprattutto per via della sua crescente fama, ma rimangono perplessi di fronte alle sue opere che sistematicamente suscitano profonde divisioni. Il fatto è che, come ha dichiarato lo stesso Fassbinder, questi film non trattano di omosessualità, perché viene data per scontata. Il suo "sguardo omosessuale" va oltre il "problema omosessualità", che non è altro che una forma di un problema più generale, quello dell'impossibilità contingente dell'amore. Presentando a Cannes Il diritto del più forte, Fassbinder disse:

Qui l'omosessualità è mostrata come completamente normale, e il problema è qualcosa di sensibilmente diverso, è una storia d'amore, dove una persona sfrutta l'amore di un'altra persona [4].


Tenebrosi, sporchi, recitati sul filo di un'astrazione che non è disumanità ma le rassomiglia, sovente chiusi in ambienti soffocanti e serrati in esasperanti logiche sadomasochiste, i melodrammi di Fassbinder sono spesso stati interpretati in modo fin troppo semplicistico come quadri pessimisti di un mondo devitalizzato dal capitale e dagli influssi malefici della borghesia (cui non sempre il proletariato oppone, come accade nel manicheo Diritto del più forte, un'alternativa di irreale bontà: pensiamo a Karin, che non è certo né ingenua né remissiva, ispirata com'è alla giovane attrice di Eva contro Eva). Ma bisognerebbe altresì sottolineare come la convinzione fassbinderiana dell'impossibilità di una purezza ingenua dell'amore, così come della sua eternità, non gli impedisca di rinnovarne costantemente la ricerca, in uno sforzo titanico di recuperare frammenti d'amore possibili, anche laddove non gli interessi mostrare il momento in cui la relazione sembra funzionare. In Petra von Kant, ad esempio, si passa dal primo quadro, quando Petra dichiara il suo amore a Karin, a quello in cui, passati alcuni mesi, la relazione entra in crisi: ma che l'amore sia divorato da un'ellissi non significa che sia irrilevante.

Si dovrebbe anche sottolineare come, proprio in conseguenza della sorprendente fusione di straniamento e coinvolgimento, i suoi film rivelino, al di là di un piano ideologico che sembra impostato a tavolino, una verità di sentimenti e un'autenticità di affetti toccante.

C'è insomma, oltre lo sguardo talora cinico, un fondo vitale nel cinema fassbinderiano, che rivela una grande quantità di aperture, di ambiguità volutamente irrisolte, di segnali contraddittori.

Lo stesso Fassbinder non considerava i suoi film pessimisti, ma piuttosto visioni di un futuro prossimo che avrebbero dovuto servire da memento allo spettatore:

Quando sullo schermo io mostro alla gente il modo in cui le cose peggiorano, il mio scopo è di avvertirli che così andranno le cose se non cambiano la loro esistenza [5].

E quindi

se il film ha una conclusione terribile, una fine che non può essere tollerata, si deve cercare un'alternativa. La morte è emancipazione [...] nel senso che il protagonista, il quale rappresenta il pubblico, comprende che un'utopia è necessaria. Che ne ha bisogno [6].

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