Un'utopia lunga 40 anni. Intervista a Felix Cossolo

18 giugno 2016

Non conto più gli anni che son passati dalla prima volta in cui decisi di intervistare Felix Cossolo. Molti comunque... E in tutto questo tempo, per un motivo o per un altro (in realtà più per mia timidezza cronica...) sembrava che questa intervista fosse cosa che “non s’ha da fare”. L’occasione mi è stata data dall’uscita, a fine 2015, del libro 40 anni in movimento. 1975-2015: un viaggio nella storia della militanza gay, curato da Lucia Mazzilli e dallo stesso Cossolo, con un’introduzione di Franco Grillini, e interventi, tra gli altri, di Giovanni Minerba, Francesco Gnerre, Beppe Ramina, Giovanni Rodella e Giovanni Dall’Orto, (senza contare i numerosi articoli precedentemente apparsi in periodici diretti da Cossolo, e qui ripubblicati). Un libro che finalmente cerca di fare il punto sulle tantissime iniziative promosse da Felix nell’arco di 40 anni di militanza LGBT, appunto:  “frocia metalmeccanica” alla Fiat Mirafiori, direttore di “Lambda”, cofondatore di “Babilonia”, a tutt’oggi il periodico gay italiano più longevo (anche se chiuso nel 2009), ideatore e promotore della libreria Babele, la prima in Italia che fosse rivolta esplicitamente ad una clientela omosessuale, organizzatore di campeggi gay dal 1978 al 1984, imprenditore di diversi locali, e molto altro.

La forma ricorda quasi quella di un album fotografico, ed in effetti sono tantissime le foto d’epoca pubblicate, in un susseguirsi di immagini, e di “ricordi”, in cui sono presenti quasi tutte le figure che, in un modo o nell’altro, hanno dato molto al movimento LGBT italiano dagli anni Settanta in poi; Mario Mieli, Angelo Pezzana, Massimo Consoli, Franco Grillini, Andrea Pini, Corrado Levi, Ivan Cattaneo, Paolo Rumi, Giovanni Dall’Orto, e moltissimi altri.

Molto interessanti alcune interviste già pubblicate su “Lambda” e “Babilonia”, come quella di Andrea Pini a Giò Stajano, quella di Felix Cossolo a Bisanzio Padano (pioniere dell’editoria gay negli anni Settanta), o quella di Pietro Tarallo ad Alberto Arbasino. Queste ultime sono messe all’interno del primo capitolo, interamente dedicato all’omosessualità in Italia prima del 1975. Un libro necessario secondo me, che meriterebbe l’attenzione di un editore, e una distribuzione più capillare (è infatti interamente prodotto in proprio). Tornando all’intervista che non “s’ha da fare”, beh ho finalmente conosciuto Felix durante una presentazione del suo libro a Firenze, e “s’è fatta”….

Innanzitutto, grazie per questo tuo libro; personalmente ho sempre pensato che le tue iniziative culturali e commerciali, avessero bisogno di essere ricapitolate non solo in paragrafi all’interno di qualche libro, ma con un volume a sé stante. Quando, e come è nata l’idea di questo progetto editoriale?
Ho sempre pensato di non disperdere tutto il materiale del mio archivio e infatti una parte la donai al Cassero di Bologna ed un'altra al CIG di Milano. Il resto lo custodisco in casa. 40 anni di attività nel movimento gay: foto, ritagli di giornali, diapositive, manifesti, t-shirt, libri, volantini, dischi, videocassette etc.... Ho sempre avuto l'intenzione di proporre il mio materiale, di divulgarlo e la possibilità di raccoglierlo in un libro mi ha sempre interessato. Lo scorso anno ho conosciuto una giornalista e grafica, Lucia Mazzilli, che aveva già curato un libro della mia associazione di quartiere FAS (Gruppo Ferrante Aporti Sammartini) che si occupa di valorizzare i Magazzini Raccordati della Stazione Centrale di Milano. L’associazione FAS mi aiutò anche due anni fa ad ottenere dall’amministrazione comunale la riqualificazione della gay street, via Sammartini, la prima in Italia, un progetto che portavo avanti dal 1993 ma che non aveva mai avuto la possibilità di concretizzarsi fino in fondo. Con Lucia ci siamo messi, a casa sua, a lavorare tutto il mese di agosto dello scorso anno, ci siamo appassionati ed è venuto fuori 40 anni in movimento.

Il 1975 è un anno importante per te. In quell’anno decidi di non voler più subire una società omofobica, ma di impegnarti per cambiarla, e fondi una sezione locale del Fuori!, a Bari. Prima di allora come avevi vissuto la tua omosessualità?

Nel 1975 avevo diciott'anni. La mia prima esperienza sessuale consapevole l'ho avuta il giorno prima degli esami di Stato. I mesi prima ero in crisi, non studiavo, reprimevo i miei istinti, mi nascondevo perché non mi accettavo. La mia famiglia aveva scoperto della mia omosessualità e fui cacciato di casa. Grazie all'intervento del mio professore di francese e del preside della scuola, il consiglio di istituto aveva deliberato un finanziamento per potermi pagare le sedute all'astanteria neuropsichiatrica del Policlinico di Bari. Ma proprio in quel periodo, dopo la mia prima e felice esperienza sentimentale, sospesi gli incontri con lo psichiatra e feci il mio coming out. Ebbi il miglior punteggio della scuola agli esami con 58/60, stavo vivendo il mio uscir fuori con euforia e finalmente liberazione! Facevo parte del Partito Radicale, e poiché era permessa la doppia tessera frequentavo anche i gruppi anarchici e i movimenti della sinistra rivoluzionaria. Naturalmente dopo il mio coming out ho iniziato a portare le tematiche di liberazione sessuale all'interno delle varie organizzazioni, ma non era facile soprattutto in quegli anni.

Da pugliese per metà, sono molto curioso di sapere se negli anni Settanta, in Puglia, vi fosse qualche città in cui essere gay fosse più facile.

Dopo il diploma decisi di andarmene dalla Puglia proprio perché non c'era possibilità di poter essere sé stessi. Gli omosessuali non avevano degli spazi di incontro. C'erano i cinema porno, i giardinetti e qualche vespasiano dove si batteva. Io spesso andavo a Napoli e a Roma, dove c'era qualche possibilità in più di svago e d'incontro. Emigrando, finalmente arrivai prima a Milano e poi a Torino dove potei realizzare il mio sogno di far parte del movimento gay, prima nel Fuori! e poi nei collettivi autonomi.

Prima dei 18 anni, avevi mai letto qualche libro o rivista “a tema”?

Quando ero minorenne le pulsioni erano forti e non avevo possibilità di sfogo per cui acquistavo di nascosto la rivista “Homo”. Andavo spesso nei cinema porno (avevo falsificato la carta d'identità), e mi sono sorbito decine di decameronate solo per vedere qualche natica. I primi nudi maschili integrali sono stati quelli dei film di Pasolini e poi “Arancia meccanica” che avrò visto e rivisto decine di volte. Questo era quello che passava il convento. Poi mi sono fatto più adulto ed ho iniziato a leggere i libri e gli articoli di Pasolini, gli interventi di Dario Bellezza, le lettere di Giò Stajano e così via.

Vuoi parlarmi di come nacque “Lambda”, e come si sviluppò il distacco dal Fuori! ?

All'inizio degli anni Settanta il Fuori! pubblicava la sua rivista omonima. Per un periodo fu distribuita anche in edicola. Ma i costi non coprivano le entrate, per cui Angelo Pezzana decise di organizzare la pubblicazione di un bollettino più agile e più economico: “Lambda”. Io entrai a farne parte nel 1976 durante il servizio militare proprio a Torino, sede del periodico. Ero un volontario come anche

Silombria, Cucco, Francone... Dopo i primi numeri ebbi il tempo e l'interesse per occuparmi in modo stabile della rivista e divenni direttore editoriale, mentre il direttore responsabile era Angelo Pezzana. Pubblicai una falsa intervista (sulla falsa riga dei giornali satirici dell'epoca, come “Il Male”) a Marco Pannella, un outing velato e divertente che però gettò lo scompiglio nel Fuori! e lo stesso Pezzana si dimise da direttore responsabile, affermando che non condivideva la mia scelta di “sputtanare” Pannella. La sua lettera e la mia risposta sono state pubblicate proprio nel mio libro. Quindi mi trovai in difficoltà. e dovetti organizzare una nuova redazione, e cambiò anche l'indirizzo politico (una volta nell'ambito del Partito Radicale, ora più aperto alle istanze dei collettivi autonomi e della sinistra extraparlamentare). Il nuovo direttore responsabile che accettò l'incarico fu Andrea Valcarenghi, già fondatore della rivista “Re Nudo” alla quale volevo ispirarmi.

Dal 1978 inizia ad apparire su “Lambda” una guida gay con elencati luoghi d’incontro in Italia e all’estero. Come veniva redatta questa guida? Vi recavate personalmente nei luoghi e nei locali che poi avrebbero dovuto essere menzionati?

In quegli anni non esisteva internet, per cui gli unici modi per comunicare erano il telefono e la posta. Molte informazioni erano di dominio pubblico, perché alcuni posti erano noti nell'"ambiente gay". La guida comprendeva locali, saune, cinema, vespasiani e luoghi all'aperto. Molte informazioni ci arrivavano dai nostri lettori, per le altre segnalazioni viaggiavo per verificare i posti da segnalare. Un grande aiuto ce lo forniva la guida internazionale “Spartacus”.

Nell’estate del 1978 organizzi un campeggio gay in Grecia. Un’esperienza piuttosto turbolenta, di cui parli anche nel libro. Ti aspettavi un’accoglienza così poco “calorosa”?

Il movimento ellenico AKOE ci contattò perché volevano organizzare un raduno internazionale nell'isola di Zacinto per protestare contro il regime dei colonnelli. Ma non approdammo mai in quella località perché sapevamo che era in atto una sommossa della popolazione. Il primo punto di riferimento quindi fu Atene, poi in bus ci spostammo nel Peloponneso a Katakali. Ma anche qui non fummo bene accolti, e l'odissea continuò per tutto il periodo di “vacanza”, fino a quando raggiungemmo l'isola di Paros, nell’Egeo. Non era prevista tutta questa turbolenza, ma proprio a causa delle difficoltà nel gruppo si creò un forte senso di solidarietà e di amicizia che continuò per tanti anni.

Il campeggio gay dell’anno successivo, sempre organizzato da te in collaborazione con “Lambda”, si tenne a Capo Rizzuto, in Calabria. Tra i vari partecipanti, anche un giovanissimo Nichi Vendola. Che ricordi hai di lui, in quell’occasione?

C'eravamo già conosciuti qualche anno prima.. Lui è pugliese come me, io di Bari, lui della provincia. Militava nel Partito Comunista e un bel giorno lo conobbi a Bari (aveva 18 anni) nel corso di una mostra che organizzai col Fuori!. Non aveva ancora fatto coming out. Ci siamo rivisti a Capo Rizzuto. Storica la foto dove io, lui e un nostro amico sindacalista, Terzo, passeggiavamo nudi sulla spiaggia. Quella foto fu pubblicata alcuni anni fa in prima pagina de “Il Giornale”, l'intento era quello di screditare Nichi ma non credo raggiunse l'obiettivo.

La tua esperienza come organizzatore di campeggi gay si concluse nel 1984, giusto?

L'ultimo fu a Porto S. Elpidio, e non ne volli più organizzare perché per noi non era più una vacanza, ma una sofferenza. Dovevamo giustificare la nostra presenza in un periodo in cui si cominciava a parlare dell'Aids e noi venivamo identificati come i portatori della 'peste'. Quindi ogni giorno eravamo costretti a organizzare dibattiti, conferenza stampa, manifestazioni per difenderci dagli attacchi continui per dimostrare che un bicchiere bevuto al bar non era fonte di contaminazione, che le nostre lenzuola portate in tintoria non creavano problemi etc.

Come nacque l’idea di fare un libro sull’esperienza dei campeggi, pubblicato poi da Gammalibri nel 1981 col titolo Cercando il paradiso perduto?

L'editore Domenico Nodari aveva già pubblicato dei libri sulla tematica gay (Francesco Gnerre, Elio Modugno...) per cui ci propose di raccogliere articoli e foto del gay camp di Capo Rizzuto. Lo curammo io e Ivan Teobaldelli di “Babilonia”. Il libro fu un successo, ed ora è introvabile.

Nel 1983, assieme a Ivan Teobaldelli, fondi “Babilonia” (in realtà il numero zero era stato presentato nell’estate del 1982, durante il campeggio gay di Vieste), ad oggi il periodico gay in lingua italiana più longevo (anche se chiuso nel 2009). Tra i primi collaboratori, anche Mario Mieli. Che ricordi hai di Mieli in quegli ultimi mesi, prima del suo tragico suicidio?

Mario Mieli era già collaboratore di “Lambda”. Ero stato più volte a casa sua per intervistarlo. Avevo seguito i suoi spettacoli e le sue iniziative nei COM (Collettivi omosessuali milanesi). Aderì subito e contribuì alla nascita di “Babilonia”. Ma dopo due numeri, a marzo Mario si suicidò. Qualche giorno prima ci aveva scritto una lettera in cui si dimetteva da collaboratore. Sinceramente non abbiamo mai capito i motivi di questa scelta. Resta comunque un genio e il suo libro Elementi di critica omosessuale (1977, Einaudi editore) è la nostra bibbia.

Da dove nacque l’idea di chiamare la nuova rivista col nome di “Babilonia”?

Non ricordo da dove partì la proposta. Per me Babilonia significa la confusione delle lingue: la possibilità quindi di fare esprimere tutte le variegate espressioni della nostra gaiezza.

Babilonia” organizzò anche alcune feste memorabili, in particolare alla discoteca Nuova Idea di

Milano, spesso con ospiti figure del mondo dello spettacolo e della cultura. Hai mai avuto qualche rifiuto netto da parte di personaggi che avresti voluto invitare?

Alle nostre feste sono intervenuti un po' tutti gli amici dell'epoca, da Giuni Russo a Loredana Bertè, da Ivan Cattaneo a Diego Dalla Palma, da Aldo Busi a Maurizia Paradiso. L'unica che ci fece un bel bidone, in quanto il suo agente aveva garantito la sua presenza, fu Amanda Lear. Era un martedì (se non erro a novembre del 1983), alla Nuova Idea erano accorsi ben 2000 partecipanti, molti di loro aspettavano lei, la regina, Amanda, che non volle venire. Per fortuna si fece avanti Giuni Russo che divenne la madrina della serata e ci salvò dal fiasco. Poi Giuni incise un brano dal titolo Babilonia!

A fianco di “Babilonia”, nel 1984 inizi a pubblicare anche le riviste pornografiche “Maschio” e “Supermaschio”. Venivano utilizzati anche fotografi italiani per i servizi proposti? Vi ispiravate a qualche pubblicazione già esistente?

La scelta di occuparmi del porno derivò dal fatto che l'editore di “Babilonia” era Bartolo Miani, che produceva riviste SM etero. Ci propose di pubblicare anche riviste porno gay, ed io le realizzai soprattutto perché allora il mercato porno era più fiorente di quello culturale. Infatti “Maschio”, “Supermaschio” e poi “Marco”, i disegni di Tom of Finland (col fumetto “Kake”) rendevano economicamente e permettevano di finanziare “Babilonia”. Non c'erano fotografi italiani, a parte Tony Patrioli, che però collaborava con “Doppiosenso”, la concorrenza. Il nostro grafico Bruno Delle Donne ha realizzato dei servizi porno ma quasi tutto il materiale era “rubato” dalle produzioni estere. Essendo la pornografia vietata in Italia, i diritti d’autore non venivano tutelati, per cui per anni abbiamo attinto da materiale di tutto il mondo senza spendere un centesimo.

Come già accennato prima da te, gli anni Ottanta sono purtroppo anche il decennio in cui l’Aids fa la sua comparsa. Quando ne hai sentito parlare per la prima volta?

All'inizio degli anni Ottanta sui quotidiani italiani iniziarono ad essere pubblicate le prime notizie sulla “peste” del secolo. Si parlava di morti nella comunità omosessuale americana, e quindi eravamo accusati di essere gli untori. Con la morte di Rock Hudson le notizie sparate a titoli cubitali divennero di dominio pubblico, ormai tutti vennero a conoscenza di questa malattia mortale. Su “Babilonia” pubblicammo i primi interventi e anche la Tv si occupò di noi invitandoci a varie trasmissioni televisive. Nel 1985 organizzammo il primo galà di raccolta fondi per la ricerca sull’Aids al teatro Ciak di Milano, con l'adesione di numerosi artisti, giornalisti e politici (dal sindaco Tognoli alle giornaliste Natalia Aspesi e Lina Sotis, da Giuni Russo a Loredana Bertè, da Andrea Occhipinti a Walter Chiari).

Vuoi parlarmi di come è nato il tuo impegno a fianco dell’ASA (Associazione solidarietà Aids)?

In occasione dell'evento di raccolta fondi Aid for Aids, al quale invitammo anche medici che si stavano occupando del virus HIV, decidemmo di creare un’associazione di lotta contro l'Aids, l'ASA, Associazione solidarietà Aids. Coinvolgemmo il professore Mauro Moroni e altri luminari, intellettuali e giornalisti. Si creò il primo gruppo di sieropositivi che pubblicava un bollettino.

Nel 1987 fondi, in via Sammartini, la libreria Babele, la prima libreria gay in Italia. So che Giovanni Dall’Orto (collaboratore di “Babilonia” dal 1985), e il suo libro Leggere omosessuale furono guide preziose per cercare qualche remainder “a tema”, ma che aveste non poche difficoltà nel reperire i libri che avreste poi dovuto mettere in vendita.

Sì, quando fondai la libreria Babele proposi a Giovanni di venire con me a Parigi per raccogliere un po' di materiale. Andammo alla libreria gay Les Mots à la bouche, poi incontrammo Cadinot (un regista porno-gay molto apprezzato all'epoca). Ritornammo carichi di libri, di video e di contatti con la Francia. La mia amica Laura Alunno, che aveva aperto a Milano un caffè letterario, mi diede una mano nello stilare un elenco di produzioni editoriali LGBT. Presi contatto con tutte le case editrici di ogni parte del mondo (da Bruno Gmuender a Tom of Finland), e nel giro di un anno (grazie ad un catalogo molto ricco anche per la vendita per corrispondenza) il successo fu notevole, tanto da decidere di spostarmi sempre in via Sammartini in un ambiente più spazioso e confortevole.

Che tipo di clientela frequentava la Babele durante il suo primissimo anno di nascita?

Tutti i tipi di clientela: dai leather alle lesbiche, dagli artisti agli intellettuali. Ricordo che soprattutto il sabato pomeriggio la Babele era così affollata che divenne un punto di incontro e di battuage. Nel giro di un anno aprii anche un altro negozio, si chiamava Emporio Babele e aveva in catalogo tutta la produzione di merchandising LGBT; dai dischi alle t-shirt, dalle bandiere arcobaleno agli slip erotici.

Il periodo che va dalla metà degli anni Ottanta ai primi anni Novanta ti vede impegnato in tantissime iniziative. Cito, tra le altre, la rivista “Marco”, il circolo Querelle di cui fosti tra i cofondatori nel 1987, ma soprattutto la rivista “Hotline”, nata nel 1990, e il club omonimo in via Sammartini, aperto nel 1991. Quando apristi l’Hotline, avevi già in mente di creare, in via Sammartini, la prima gay street italiana, come poi avvenne nel 1993?

In quegli anni in via Sammartini erano state aperte diverse attività: tre sexy shop, una sauna poco distante, una libreria, un leather shop, la redazione di giornali porno, la sede di una hotline telefonica, un club notturno e infine la redazione di “Hotline gay magazine”, che aveva come collaboratori tutti gli amici di allora: Aldo Busi, Alessandro Golinelli, Carmen Covito, Barbara Alberti, Diego Dalla Palma, Paolo Hutter, Dario Bellezza.... Il 4 aprile del 1993 io e Franco Grillini (allora onorevole) affiggemmo la targa Via Sammartini Gay Street (i mass media se ne occuparono e la notte stessa dell'inaugurazione tutte le saracinesche furono imbrattate da scritte nazi e antiaids).

So che all’Hotline venivano spesso organizzate mostre fotografiche, o di opere d’arte.

Sì, ci furono mostre fotografiche di pitture e disegni, con artisti del calibro di Graziano Origa, Luciano Tallarini, Ivan Cattaneo, Beppe Anfossi e tanti altri di cui ho perso purtroppo la memoria.

Nei primi anni della gay street, in cui apri altri locali (il disco bar After Line nel 1993, raddoppiato con l’Oasi Rosa, sala per sole donne, nel 1994, e il ristorante Hotline nel 1999), che rapporti avevi con la giunta comunale?

Purtroppo nessun rapporto. Prima con la giunta leghista del sindaco Formentini, poi con quelle di Albertini e della Moratti ho avuto grosse difficoltà. Scrissi una lettera all'assessore Lupi (ora ex ministro); mi rispose che via Sammartini non rientrava nei loro piani di riqualificazione. Difatti per tanti anni la gay street è rimasta degradata. Abbiamo subito numerose irruzioni della polizia, furti e aggressioni. Nell'ultimo periodo dell'amministrazione di destra il vicesindaco De Corato riuscì a far chiudere due locali della via con un'ordinanza. Grazie ad una raccolta di firme e all'appello al Tar, siamo riusciti ad avere una sentenza favorevole per la riapertura. Comunque la via solo recentemente, con la giunta Pisapia e la nostra amica Rosaria Iardino, ha avuto un accenno di attenzione. Ma c'è ancora tanto da fare.

Ci sono stati quindi anche episodi di violenza omofobica nei confronti di clienti dei tuoi locali in quegli anni?

Come accennavo, quando arrivavano le forze dell'ordine non si accanivano su coloro che vivevano di microcriminalità nella strada, ma soprattutto contro noi gestori, con le armi puntate e con la scusa dei controlli ci bloccavano la serata chiedendo a tutti i clienti i documenti. Mentre era noto che essendo una via attigua alla stazione centrale prosperavano tossici, ladri, e altro che avevano trovato il loro spazio per rubare e spacciare proprio in quanto si sentivano immuni dai controlli e magari convinti che “fregare” o aggredire un 'frocio' non fosse reato. Questo andazzo è andato avanti per anni, e a nulla sono servite le mie lettere, le mie proteste...

Vuoi parlarmi dell’esperienza del free-magazine “Clubbing”, e di come mai ha cessato di essere pubblicato?

L'ultima fase di “Babilonia” era diretta da Mario Anelli, con lui collaborai fin quando decisi di acquistare il logo “Clubbing”, un free-press appena nato ed edito da “Babilonia”. Coinvolsi anche la redazione di Gay.tv e lo staff di Gay.it.

Fu un magazine che ebbe per anni un grande successo ed una tiratura che per alcuni numeri arrivò fino a ventimila copie distribuite gratuitamente. Con il tempo, con la crisi economica e il successo di internet anche “Clubbing” subì dei contraccolpi, soprattutto perché gli inserzionisti avevano cominciato a non evadere le fatture. Vivendo esclusivamente di pubblicità, non poteva più essere prodotto un mensile come questo; decisi quindi di sospendere le pubblicazioni e di proporlo nell'ultimo anno solamente online.

Oggi di cosa ti occupi? Hai qualche nuovo progetto che ti piacerebbe realizzare?

Da ottobre dello scorso anno ho dato i miei locali in gestione, per cui sono disoccupato. Per due mesi ho riempito il mio tempo curando e poi pubblicando 40 anni in movimento, e ora saltuariamente mi sposto per presentarlo in giro per l'Italia a mie spese. Poi faccio dei viaggi frequenti in Tunisia, Thailandia e prossimamente a Cuba. Mi occupo di volontariato e faccio parte dell'Associazione FAS (Ferrante Aporti Sammartini), di cui ti ho parlato. Infine solo da pochi giorni ho firmato un accordo; collaborerò con la nuova direzione di Gay.it (Giuliano Federico) e mi occuperò soprattutto di storia del nostro movimento, la mia passione. Ritorno quindi di nuovo a fare il giornalista. Wow.

Per una biografia completa di Felix Cossolo, vedere il sito http://www.felixcossolo.com/biografia.htm

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