recensione diGianni Rossi Barilli
Matrimoni
Storie raccontate con passione da chi le ha dette e da chi le ha trascritte, che si leggono con piacere, a differenza delle diatribe provincial-demenziali per decidere se sia più discriminante l'omofobia italiana o il politicamente corretto europeo che bandisce Buttiglione.
Storie vere, tra le cui righe si decifrano non solo le sfumature delle relazione a due ma anche i problemi derivanti dalla mancata accettazione sociale dell'amore omosessuale. Che nella vita reale possono assumere forme di crudeltà gratuita come negarti il conforto di tenere la mano per l'ultima volta alla tua amata che sta morendo in ospedale perché per la burocrazia non sei «né la madre né la sorella né la cugina. Tantomeno il marito». O che possono aprire ferite meno improvvise ma profonde tra una fede religiosa e il rifiuto che si riceve da chi pretende di rappresentarla anche a nome nostro.
Ma la vita, fortunatamente, non è fatta solo di problemi. In questi dieci microromanzi tratti dal vero, quindi, c'è posto anche per il lato solare dell'amore, che è poi quello che più conta. E per attimi memorabili che illuminano retrospettivamente un'intera esistenza vissuta fianco a fianco. Come quello toccato in sorte a due ragazze ultrasettantenni che nel luglio di quattro anni fa si trovarono perse ma felici nella bolgia del Gay Pride romano: «stando strette in mezzo alla calca, ci siamo anche tenute per mano. Per cinque minuti. Che emozione! Un Paradiso. Era la prima volta che ci tenevamo la mano in pubblico in tutta la nostra vita! Ah, valeva la pena di vivere, e di vivere così a lungo, per togliersi questa soddisfazione».
Matrimoni può apparire per qualche verso come il sequel di Ragazzi che amano ragazzi , libro culto per una generazione di adolescenti gay scritto da Paterlini quindici anni fa. Qui si parlava di gioie e dolori legati al venir fuori dell'identità omosessuale liberata da silenzi e condanne. In Matrimoni possiamo leggere invece il percorso di maturazione di ragazzi (e ora anche ragazze) come quelli, ormai cresciuti. Con un filo conduttore riconoscibile e qualche differenza. Come il fatto che in Matrimoni il racconto è intenzionalmente più letterario che giornalistico, tendendo a rendere più esemplari che documentarie le storie dei protagonisti. Per rafforzare, sembra di capire, il diritto a essere rappresentati di coloro che abitualmente vengono cancellati da una «normalità» escludente.
Il tempo dell'esclusione, come avvertiamo sempre più di frequente da mille segnali registrati dalle cronache, volge al termine. E Paterlini ci dice che la famiglia omosessuale è diventata per le nuove generazioni di gay e lesbiche la nuova forma di egemonia culturale, esattamente come per la generazione precedente lo erano la trasgressione, l'anticonformismo e il rimescolamento dei ruoli sessuali: «Quello a cui stiamo assistendo è un passaggio epocale, della cui portata non solo fatichiamo a renderci conto, ma dagli esiti difficilmente prevedibili, non solo per gli omosessuali. Parlo di mutamento culturale, del costume, sociologico, antropologico, etico. Di un passaggio paragonabile - ma dalle conseguenze ancora più dirompenti e imprevedibili - a quello degli anni `60, con la nascita e l'esplosione, in tutto il mondo occidentale, del `movimento omosessuale'».
Stiamo parlando naturalmente di un'egemonia non necessariamente bigotta (anche se il concetto stesso di egemonia si presta a inquietanti semplificazioni), perché «il desiderio di sposarsi e la sperimentazione di modelli nuovi non sono affatto in contraddizione», ancora Paterlini.
C'è però in questo ragionamento, che pure contiene elementi di verità facilmente verificabili, qualcosa che non suona adeguato alla realtà dell'Italia di oggi, dove la tesi dell'egemonica normalità omosessuale contrasta con il persistere di un'egemonia omofoba ancora tutta da vincere. Questo pesa innanzitutto sui gay e sulle lesbiche e sulla loro effettiva possibilità di sentirsi alla pari degli altri. Dare troppo per scontato per tutti/e il raggiunto desiderio di normalità rischia di perdere di vista le fatiche e le lotte ancora da affrontare. Il che è un po' un vezzo snobistico dell'egemonia intellettuale italiana riguardo al tema dell'omosessualità, passata quasi per magia dal tabù a un «non ci sono più problemi» (quantomeno teorici). In mezzo c'è qualcosa, vedi le battaglie del movimento gay e lesbico o la tuttora molto attuale potenza del senso di colpa per il fatto di essere ciò che si è, che non è sufficientemente riconosciuto. Questo rischia di risultare mistificante, rendendo più difficili i progressi futuri, anche se un libro come Matrimoni aspira senza possibilità di equivoci a spianare la strada.