recensione diVincenzo Patanè
Il fantasma
Meglio dirlo subito. Il Fantasma (O Fantasma), diretto dal portoghese João Pedro Rodrigues, o piace molto o non piace per niente. E' così, c'è poco da fare, ce lo ricordano le tante polemiche che ha suscitato a Venezia. La stessa critica è rimasta spaccata, tanto che si è arrivati a giudicare il film "una solenne bufala" o, al contrario, a lodarlo per la sua "grandezza estetica". A me è piaciuto enormemente, per quanto debbo ammettere che si tratta di un'opera decisamente ostica e non sempre chiara, visto che alcune situazioni si sciolgono misteriosamente nel nulla. Senza dire del finale muto, lungo un buon quarto d'ora, che sicuramente scoraggia molti spettatori, spiazzati da una conclusione così incompiuta.
Ciò detto, sono però sicuro che a dare particolare fastidio è stato il fortissimo erotismo che informa ogni momento del film e che vanta addirittura un pompino (così schietto come mai si era visto nel cinema gay su schermi non a luci rosse), due penetrazioni, masturbazioni a non finire ed altro ancora: un erotismo che ha scatenato in molti - in particolare nella critica più conservatrice - la convinzione a priori che esso sia privo di qualità.
Il fantasma del titolo è Sergio (lo splendido Ricardo Meneses), un diciannovenne che lavora di notte come spazzino a Lisbona, consumato da un'esasperante esigenza di sesso, che lo porta a vivere un rapporto contrastato con una collega che lo ama, ma che soprattutto lo rende avido di sesso estemporaneo, consumato da solo, magari strangolandosi con la doccia, nei gabinetti o per la strada con i primi che incontra. In più, Sergio vive anche un'altra identità: vestito con un attillato costume di latex, gira per la città di notte cercando di dare corpo alle proprie brame, scopando con chi si trova ed arrivando a rapire un ragazzo di cui è infatuato, ma da cui è respinto senza speranze, lasciandolo sulla strada con le mani e i piedi legati e lo scotch sulla bocca. Ispido e misantropo, il ragazzo rimane alla fine intrappolato senza vie di uscite nel suo mondo onirico e visionario, vagando come un'ombra in un paesaggio quasi lunare, fatto di discariche e di reperti di archeologia industriale, annullando sempre di più la sua umanità e finendo col somigliare sempre più al suo cane Lord, di cui mutua i modi di fare, come l'urinare per marcare il territorio.
La vicenda è così irrisolta da lasciare il sospetto che possa essere solo un'elucubrazione della mente farneticante e scollata del protagonista. Questi compie giri senza mete alla ricerca di nuovi rapporti sessuali, nel mondo notturno ed ovattato - interrotto solo dal chiarore di una piscina illuminata, in cui Sergio fa il bagno nudo - di una Lisbona qui irriconoscibile e cupa: una città percorsa instancabilmente dai netturbini, "fantasmi" che lavorano quando gli altri dormono e che frugano fra i rifiuti cercando scampoli di vita, e spesso di amore, di cui appropriarsi.
Giocando sapientemente con l'immaginario più caro alla cinematografia gay - da Pink Narcissus a Genet, dal Sangue di un poeta di Cocteau a, soprattutto, al Kenneth Anger di Scorpio Rising - il film rivisita il tema del doppio, immergendolo in archetipi tipici degli anni Cinquanta: costumi di gomma e motociclette cromate, poliziotti legati e ragazzi ammanettati con manganelli in bocca, come i fumetti di Tom of Finland. Così, l'irrazionalità del desiderio si trasforma, con inquadrature e messe in scena particolarmente azzeccate, in una fisicità potente che puntella la sua impellenza proprio nel feticismo e nel sadomasochismo. Con una visionarietà in cui, c'è da giurarci, molti avranno ritrovato le proprie fantasie erotiche più trasgressive.