recensione diFrancesco Gnerre
Ragazzo prodigio
In una cittadina di provincia dove tutto appare tranquillo, ordinato e prevedibile, compare uno sconosciuto che con il suo strano stile di vita suscita curiosità e apprensione. La sua abitazione improvvisata, una vecchia utilitaria impolverata e sbilanciata da una gomma sgonfia, appare come una minaccia puntata contro le case che circondano la piccola piazza dove è parcheggiata. Le poche notizie che trapelano smentiscono le prime ipotesi allarmanti (un albanese?), ma non rassicurano. Si viene a sapere che si tratta di uno del luogo, Leonardo Guerra, andato via tanti anni prima, ora in difficoltà economiche e preso in carico dai servizi sociali del Comune da cui ha ricevuto un alloggio temporaneo da condividere con degli extracomunitari. Lui però, dopo una lite con i coinquilini, se ne è andato mettendo in difficoltà lo stesso sindaco che, preoccupato dall’imminente campagna elettorale, deve risolvere il caso, prima che l’opposizione scateni le sue polemiche sui temi della solidarietà e dell’accoglienza.
La situazione un po’ da farsa provinciale, sottolineata dalle gelosie di due signore che fanno a gara a raccogliere informazioni e a sbirciare lo straniero anche quando va a pisciare, si trasforma presto in una più complessa storia di bilanci di vite sprecate e di ricerca di verità che la provincia sa occultare così bene.
Il ragionier Renato Rossi, bancario, moglie e figli, una vita rispettabile, sa bene chi è Leonardo Guerra. Lo ha frequentato da ragazzo, conserva il ricordo traumatico di un viaggio con lui a Parigi, ne è stato innamorato, o perlomeno non ha mai desiderato nessuno come lui, e forse anche per dimenticarlo ha avuto tanta fretta di sposarsi e fare subito un figlio. L’improvvisa apparizione di Leonardo lo fa ripiombare nei suoi abissi e lo costringe a rimettere in discussione la sua vita , ad affondare il coltello in una piaga che credeva rimarginata, e il fallimento dell’ omosessuale represso, costretto dalle circostanze e dalla provincia a un matrimonio “ragionevole” con una donna che non ha mai amato, si colora di sottili e indicibili frustrazioni.
Se Renato si è negato pure i giochi adolescenziali di tipo omoerotico (“per me non sarebbe stato altrettanto facile tornare indietro”) , più esplicitamente omosessuale è Antonio Luzi, l’amico-amante di Leonardo, di qualche anno più grande degli altri, che rievoca la generazione che non conosceva i gay (“noi eravamo omosessuali. E’ tutta un’altra storia…”), che parla della sua abitudine a incontri frettolosi con ragazzi, di come uno di questi incontri sia stato Leonardo, delle sue saltuarie esperienze nei primi locali gay, del suo rifiuto del nuovo modo di essere gay, che capisce ma che non gli appartiene.
I personaggi di Renato e di Antonio appaiono in tutta la loro verità grazie ad una scrittura in prima persona che volutamente si restringe nella sfera privata dello scavo interiore e della riflessione. Leonardo invece, il “ragazzo prodigio” del titolo, lo conosciamo solo dalla ricostruzione che ne fanno gli altri. E non potrebbe essere diversamente perché egli è l’oggetto del desiderio, misterioso e affascinante, dotato di una sessualità prorompente, capricciosa e tenera, senza remore, come un bambino. Ha inseguito per tutta la vita sogni di grandezza, facendo un po’ la marchetta e un po’ illudendosi di fare l’”operatore artistico”, abituato ad essere circondato più da ammiratori che da innamorati e rimanendo fondamentalmente “un bambino prodigio dell’erotismo che non ha potuto accettare di diventare adulto”. L’ apparizione improvvisa nella sua città d’origine, con l’aiuto un po’ recalcitrante di Antonio, nasce da un altro dei suoi strampalati e patetici sogni di grandezza, da un gioco infantile che a cinquant’anni nessuno è più disposto ad assecondare.
Gilberto Severini, autore di racconti lunghi o romanzi brevi, che pare essere il genere a lui più congeniale (tra gli ultimi ricordiamo lo straordinario La sartoria del 2001 e Ospite in soffitta del 2002) è uno scrittore che vive in provincia e della provincia sa cogliere le disperazioni più lancinanti e le dispersioni più dolorose, ma lo fa senza accuse e senza risentimenti, con discrezione e con pudore.
Qui, per esempio, l’irruzione del passato rimosso nella vita di Renato, la verità che si rivela anche alla moglie (“anche suo marito era un caso umano, di quelli più scabrosi e controversi, che ogni tanto passavano in televisione in seconda serata?” ), i pettegolezzi della provincia potrebbero essere materia per una storia drammatica e corale, ma niente di tutto questo. Gilberto Severini predilige l’analisi intima, la pacatezza dei toni e quando la tensione delle sue storie sale, sembra volerla soffocare, affidando piuttosto la sua verità alla consapevolezza malinconica e alle sfumature, al grido ricacciato in gola.