Nel marzo del 2016 lo sceneggiatore Enrico Vanzina si è prestato a rilasciare un’intervista riguardante la frequente presenza di personaggi omosessuali – in gran parte gay giocati su un registro buffo o semiserio – nei film da lui sceneggiati, e diretti dal padre Steno o dal fratello Carlo (scomparso nel 2018). L’occasione per l’incontro con Vanzina è stata offerta dalle riprese del documentario Ne avete di finocchi in casa? del collettivo GayStatale dell’Università degli Studi di Milano. Da molti anni collaboratore e opinionista per quotidiani quali il Corriere della Sera, Il Messaggero e Il Giornale, Vanzina ha messo in relazione il proprio modo di dipingere i personaggi gay con le proprie convinzioni politiche di destra e – dettaglio interessante – si è presentato al nostro appuntamento con degli appunti. Indizio forse, oltre che di umiltà, di una sincera volontà di dissipare una volta per tutte (?) i fraintendimenti circa le intenzioni sottostanti al particolare (e comprensibilmente discusso) tipo di rappresentazione offerto da lui e dal fratello nella loro filmografia ultra-quarantennale.
Nei film da te sceneggiati dagli anni Settanta in poi, la
presenza di personaggi omosessuali è quasi una costante. A cosa si
deve questa scelta?
Facendo cinema popolare si dà uno
sguardo sulla società per com’è, per com’era o per come sta
diventando. Evidentemente il problema cinematografico di come
rappresentare il mondo omosessuale è un tema enorme ed esistono
caterve di libri su questo argomento. L’atteggiamento che ho avuto
personalmente – ma che ho condiviso con mio padre Steno, quando ho
lavorato con lui, e poi soprattutto con mio fratello – è stato,
secondo me, un atteggiamento molto onesto. Io e Carlo siamo nati in
una famiglia liberale – liberale com’erano i liberali allora –
e non abbiamo mai pensato che ci fosse una differenza [NdA:
determinata dall’orientamento sessuale] nel rapporto tra le
persone; per cui il mondo gay è stato visto da noi come uno dei
tanti aspetti della società italiana. E all’interno di questo
mondo enorme e variegato si può anche scherzare, perché così come
si rappresentano i difetti, i vizi o le debolezze dei personaggi
etero, è indubbio che anche all’interno del mondo gay ci siano dei
personaggi buffi. Quando si fa una commedia, si deve poter scherzare
su tutto: sul macho, sull’arricchito, sul cafone, sul
nobile. Per cui non abbiamo mai pensato di essere scorretti, perché
li abbiamo rappresentati in una gamma quanto più possibile ampia.
Credi che il giudizio dei militanti gay sia stato troppo severo
nei vostri confronti?
Io credo che ci siano stati dei film
offensivi nel corso della storia, ma che il cinema comico sia stato
fonte di grande linfa [NdA: per quanto riguarda il miglioramento
della rappresentazione dell’omosessualità]. Non che lo dica a mia
difesa, lo penso davvero a distanza di anni: ho i capelli bianchi e
non ho bisogno di nascondere nulla. Da una parte del mondo gay invece
ci è arrivato molto astio e un’aggressività che forse compensava
le rivendicazioni che non erano ancora state accolte. Adesso però
vedo che le cose sono totalmente cambiate e che si può ragionare in
maniera più tranquilla sull’argomento. In alcuni dei nostri film,
poi, la questione dell’omosessualità ha una rilevanza anche
sociale, e lì c’è uno sguardo molto preciso e molto “pro”. In
altri casi invece i personaggi gay sono stati dipinti a mo’ di
sketch, di apparizioni. A questo proposito, mi torna in mente
il nostro primo film, Luna di miele in tre (1976), in cui –
per fare un piccolo salto mortale – avevamo scelto un attore
americano di culto che si chiamava Harry Reems, il protagonista di
Gola profonda… un pornodivo, insomma, il Rocco Siffredi
americano, per fargli fare un personaggio gay. Ci divertiva proprio
questo scambio: prendere il macho etero per eccellenza
dell’epoca per fargli fare l’omosessuale.
Parliamo dei film in cui il tema dell’omosessualità è
centrale.
Ne ho fatti tre proprio sull’argomento, e uno di
questi è La patata bollente, che ho scritto insieme a Giorgio
Arlorio. Un film buffo, ma allo stesso tempo capace di rompere un
tabù. Affronta infatti un problema molto interessante, vale a dire
il ritardo ideologico che aveva il mondo di sinistra – soprattutto
quello più popolare, degli operai – nei riguardi del mondo gay. La
questione è affrontata attraverso il personaggio di Pozzetto, un
comunista duro e puro, un sindacalista, il quale capisce che
l’atteggiamento dei suoi compagni è terribilmente razzista.
Una domanda aneddotica su La patata bollente:
la libreria gay gestita da Massimo Ranieri con alcuni dei suoi
“commilitoni” è ispirata ad un luogo particolare? Alcuni
ritengono che possa aver preso spunto dalla Libreria Luxemburg di
Angelo Pezzana a Torino.
Questo non lo ricordo, il film è
ambientato in una città imprecisata. Quel che è certo è che
abbiamo pensato a delle librerie gay esistenti. Ad esempio, mi
ricordo benissimo che mio fratello, cinefilo spaventoso, trovò una
libreria gay a Londra, alla fine degli anni Sessanta. Ci andai con
lui e scoprimmo che i clienti andavano matti per Clint Eastwood. La
cosa ci sorprese molto, non avremmo mai pensato che fosse un’icona
gay.
Tornando agli altri tuoi film espressamente costruiti su
tematiche omosessuali, uno è sicuramente Dio li fa e poi
li accoppia.
Qui Lino Banfi interpreta un gay di
una provincia un po’ chiusa e arretrata: è un personaggio
leggermente caricaturale, come poteva farlo Banfi, ma con un’anima
molto tenera, e ci sono alcuni momenti in cui viene fuori la
sofferenza, addirittura il dramma di questo personaggio. Il terzo
film è, naturalmente, Uomini uomini uomini, perché lì con
Christian De Sica e con Giovanni Veronesi (che ha scritto il film
insieme a me) abbiamo voluto dipingere uno spaccato interamente gay,
che io reputo non solo totalmente rispettoso, ma anche di più. Quasi
un manifesto “a favore”.
Però i personaggi di Uomini uomini uomini
sono abbastanza maligni l’uno con l’altro.
Ti posso
dire che ho avuto moltissime amicizie con dei gay – ne cito una
sola, quella con Peppino Patroni Griffi, a cui volevo molto bene –
e credo che la malignità sia uno degli aspetti più specifici del
milieu omosessuale. La sensibilità del gay lo porta a essere
molto critico con se stesso, ma anche spesso con gli altri: riesce a
notare cose che gli altri non notano, per cui prova un certo
divertimento nel mettere il suo prossimo sotto esame.
In Dio li fa e poi li accoppia sono
presenti tematiche che oggi sono di scottante attualità: Lino Banfi
insiste perché il protagonista Johnny Dorelli, un prete, gli
permetta di sposarsi con l’amato…
Sì, beh, ovviamente
non immaginavamo che l’argomento sarebbe diventato così sentito.
Però spesso accade che le commedie, anche quelle più leggere,
tocchino in anticipo dei temi che poi diventano importanti.
Ma voi pensavate che il pubblico avrebbe preso sul serio il
tema del matrimonio o delle adozioni per i gay, oppure che li avrebbe
visti come qualcosa di quasi fantascientifico?
Penso che i
più li vedessero come una cosa futuribile, salvo quelli che
all’epoca erano proprio contro i gay, ovvero la Chiesa e una parte
della sinistra con dei dogmi ancora massimalisti. È curioso vedere
come oggi siano gli ex-comunisti o gli ex-democristiani a spingere
per arrivare al matrimonio gay. Fa sorridere la trasformazione delle
ideologie.
Un altro film in cui la componente omosessuale assume un certo
risalto è Vacanze di Natale, con il coming
out come “bisex” di Christian De Sica…
Quella
è una cosa che ho scritto proprio io: eravamo a Capri e dissi a
Christian: «Guarda che il risvolto di questo personaggio sarà
così…». Lui rise molto e l’idea gli piacque. Lì emerge,
secondo me, una consapevolezza di quello che stava avvenendo in quel
momento, cioè che tra le classi più ricche e abbienti, tra quelli
che avevano avuto la possibilità di viaggiare e di andare
all’estero, alcuni personaggi avevano la possibilità di fare
outing [NdA: anche in altri interventi Vanzina usa la parola
outing al posto di coming out], ciascuno a suo modo. Il
personaggio di Christian è bello perché è confuso; trova il
coraggio di dire ai genitori, entrambi molto retrogradi, di essere
bisessuale… ma in realtà, secondo me, è gay e basta. Solo che non
ne ha preso coscienza, essendo nato in un mondo e in una famiglia nel
quale non è possibile essere del tutto così. Rimane quindi a metà
dicendo «in fondo io vado anche con la mia fidanzata che ho portato
dall’America», ma si intuisce benissimo che non è così.
All’epoca comunque era molto avanti, questo sviluppo.
Il gusto per personaggi di questo tipo vi è rimasto fino a
tempi molto recenti.
Io e mio fratello abbiamo creato un
altro personaggio gay riuscito, ma comunque pieno di conflitti, per
quanto il film sia ambientato ai giorni nostri: quello che Giorgio
Pasotti interpreta in Un matrimonio da favola (2014). Nel film
c’è una riunione tra compagni di scuola che non si vedono da tanti
anni: lui è diventato gay e addirittura vive con un compagno, però
non ha il coraggio di dirlo ai suoi amici, ma alla fine si libera con
un outing anche abbastanza commovente e bello, almeno secondo
me.
Nei vostri film invece la componente lesbica non è altrettanto
presente…
Già, non abbiamo fatto molto su questo
argomento, fatta eccezione per Sotto il vestito niente, che è
la storia di un grandissimo amore, come si capisce dal finale in cui
– subito prima che si getti dalla finestra – si capisce che Renée
Simonsen era follemente innamorata della donna che ha ucciso. Nel
sequel di questo film, L’ultima sfilata (2011), c’è
invece un altro bellissimo personaggio gay fatto da un attore inglese
di nome Richard E. Grant, che lo interpreta con una certa
raffinatezza.
Tra i caratteristi specializzati nell’interpretazione di
omosessuali, c’era o c’è qualcuno che preferivi?
In
Estate al mare (2008), abbiamo avuto un attore meraviglioso:
Gennaro Cannavacciuolo, perfetto per quel tipo di ruolo. Un’altra
coppia bravissima in questo senso – che ha portato a teatro questo
tipo di personaggi – è quella composta da Nicola Pistoia e Paolo
Triestino, che abbiamo usato anche noi in una serie televisiva per
delle situazioni nello stile del Vizietto. Strepitoso – in
chiave però più drammatica – è anche Leo Gullotta in Uomini
uomini uomini, ha una grazia particolare. Probabilmente, sentiva
proprio il ruolo avendo vissuto la propria omosessualità in momenti
in cui era più difficile esternarla, quindi ha portato nel film
qualcosa di suo.
Tornando alle caratterizzazioni più leggere, in Mani
di fata c’è un Maurizio Micheli davvero malizioso e
divertente…
Micheli lo fa e lo ha fatto spesso anche a
teatro ed è formidabile. Io ho avuto poi il piacere di lavorare
tanti anni fa con Michel Serrault, in occasione de Il lupo e
l’agnello di Francesco Massaro, e mi disse di essere torturato
dal fatto di avere rappresentato questa specie di folle, la
pazza totale de Il vizietto. Però mi diceva anche che spesso,
per portare in scena un personaggio gay, l’etero lo fa meglio,
almeno nel genere della commedia. Esattamente come il gay riesce a
fare dei ruoli di amore etero meravigliosi. Lo scambio è curioso: la
recitazione è un filtro che cambia le cose, no?
Eh sì, ma qui parliamo di attori di altissimo livello, invece
c’erano molti specialisti nell’interpretazione di omosessuali che
magari facevano solo quello perché reclutati nell’ottica di un
malinteso realismo. Comunque Serrault ne Il lupo e
l’agnello compiva una sorta di vendetta nei confronti
del suo personaggio de Il vizietto.
Sì,
interpretava un finto gay, un parrucchiere che per comodità
professionale si spacciava per tale.
E sembrava quasi avere un astio verso questa sua “seconda
natura”, verso questa maschera.
Era feroce, sì. Ma lo era
probabilmente lui stesso come persona: era davvero ossessionato
dall’idea di essere rimasto imprigionato in questo ruolo.
Ripensando ai film con tematiche gay che hanno fatto scalpore
all’uscita, mi viene in mente quell'episodio di Sessomatto
(1973, Dino Risi) con Alberto Lionello e Giancarlo Giannini. Ecco,
quello è un esempio di come le commedie all’italiana, se fatte da
persone tolleranti e soprattutto intelligenti, potevano affrontare il
tema divertendosi e divertendo. Ho conosciuto molto bene Risi: lui
aveva una certa simpatia per il mondo gay, mentre c’erano diversi
attori che avevano un problema con esso. Ad esempio, il più grande
attore che il nostro cinema abbia mai avuto, Alberto Sordi, aveva
certamente una resistenza nei confronti del mondo omosessuale…
perché non lo capiva, perché era strutturato mentalmente in un
altro modo. Risi, invece, essendo un altro liberale, aveva una
dimestichezza totale, con quel mondo, faceva parte della sua
quotidianità. Se adesso mi sentono i militanti cattivi dicono
«Questo è matto», ma per molte persone che hanno fatto spettacolo
– tipo mio padre, tipo me, tipo Dino Risi e tantissimi altri –
non c’è mai stato un problema rispetto agli omosessuali: abbiamo
affrontato questo aspetto della società con assoluta tranquillità.
Se dovessi trovare un aggettivo per definire il modo in cui gli
omosessuali venivano caratterizzati nel cinema popolare, quale
sceglieresti?
Beh, non era mai razzista secondo me, ma era
una scorciatoia per far ridere.