recensione diVincenzo Patanè
Salò o le 120 giornate di Sodoma
Uscito postumo dopo la tragica morte di Pasolini, Salò o le 120 giornate di Sodoma (spesso denominato "Salò-Sade") cadde immediatamente nelle grinfie della censura, per essere distribuito poi con numerosi tagli, tuttora esistenti.
Molti hanno voluto leggerlo come il testamento del regista sia perché è il suo ultimo film sia per la sua terribilità che, soprattutto in alcune scene decisamente troppo efferate, colpiscono duramente lo spettatore. In realtà l'aver voluto sfondare i limiti della tollerabilità - così come l'estrema cura di ogni particolare: la ritualità di ogni gesto, l'ostentata cultura altoborghese dei signori, l'elegante scenografia, la fredda fotografia - è un fatto voluto puntigliosamente da Pasolini per amplificare il significato ed il messaggio del film.
Questo si presenta, tutto sommato, di non difficile leggibilità. Sposando il libro maledetto per eccellenza del marchese de Sade (Le centoventi giornate di Sodoma, appunto) alla repubblica di Salò, ossia uno dei governi più nefandi mai esistiti, Pasolini ha voluto sottolineare, ben al di là del contesto storico, come nulla sia più anarchico del potere e come esso sia capace di trasformare i corpi in cose e in oggetti di piacere.
Ma anche una lettura più puntuale fa acquistare ad ogni simbolo un suo precipuo significato: il suicidio della pianista è l'arte che si ribella finalmente alla propria prostituzione così come la ragazza di colore ed il sovversivo di sinistra appaiono l'unica speranza di catarsi. Ancora: gli escrementi sono i prodotti della società capitalista da cui veniamo sommersi e che siamo costretti ad ingurgitare e così via.
Il giudizio sul film, dal grande rigore formale, non può che essere eccellente e ogni comportamento negativo della vicenda è temperato da un corrosivo umorismo.
Il film appare come il trionfo della sessualità, goduta sadianamente in ogni sua forma, ovviamente in un'ottica di un sesso degradato a consumo. Inoltre i nudi, gli accoppiamenti, i momenti pruriginosi - come il "concorso sul più bel culo", vinto da un delizioso ragazzo, interpretato da Franco Merli, già presente ne Il fiore della mille e una notte) vedono proprio nell'omosessualità l'espressione più convinta ed esaltata. E gli stessi momenti sadici, per orribili che siano, possono interessare non pochi spettatori (come, molto probabilmente, lo stesso regista non dovette esserne risultato immune). Del resto, anche in ciò Salò si propone come un caso limite nella storia del cinema che mai ha visto una radicalità così trasgressiva. Proprio come Sade in letteratura.