recensione diMauro Giori
Come il corpo di Sal Mineo ha ucciso "Il sadico"
«Qual è la parte?», chiese Elaine Stritch. «È una lesbica che gestisce una discoteca e ha una cotta per Juliet Prowse e finisce strangolata con un collant da Sal Mineo sulla East End Avenue». «Nessuno rifiuta una parte del genere», concluse Elaine Stritch.
L'aneddoto, raccontato dall'attrice, è decisamente credibile, considerato il carattere estroverso di tanta interprete, che rappresenta anche uno dei pochi punti di forza del film. Anzi, potremmo dire che la sua è l'unica interpretazione realmente convincente, oscillando le altre tra l'amatoriale volenteroso e l'amatoriale trascurato.
Siamo nel 1965, a un passo dal pensionamento del Codice Hays, che ormai è carta morta. Dopo il successo imprevisto e incontenibile di Psycho (1960), il cinema americano cerca ogni possibile variazione per vendere in film dalle pretese drammatiche esplorazioni compiaciute dell'universo sessuale, in tutte le sue variazioni (ma proprio tutte, in questo caso). Basta mostrare da qualche parte la copertina della Psychopathia Sexualis e il gioco è fatto.
Con pochi soldi, qualche spunto stilistico che non teme il kitsch e una bella fotografia, Joseph Cates (che aveva all'attivo un solo film, neanche a dirlo sulla prostituzione) usa la mano pesante nel tentativo di costruire un caso clinico tra i più implausibili visti sino ad allora sul grande schermo. La vicenda dovrebbe essere quella del giovane Lawrence che, quando era adolescente, si era concesso a una ragazza lasciando incustodita la sorellina, la quale pensò bene di buttarsi dalle scale rimanendo mentalmente menomata. Per una qualche ragione non chiarita, i sensi di colpa conseguenti lo avrebbero trasformato in uno stalker voyeurista e in un molestatore telefonico, oltre a indurlo a passare ore in palestra (questo non era previsto dal catalogo di Krafft-Ebing, ma non ci starebbe necessariamente male).
Come non bastasse, a dargli la caccia è un poliziotto che passa anche lui le giornate a compulsare letteratura erotica spaziando dai testi scientifici alle rivistine porno, tutte dispiegate in bella vista sulla sua scrivania mentre ascolta senza cuffie le registrazioni di telefonate di pervertiti, il tutto in un monolocale in cui vive con la figlia di dieci anni, che ha un bel daffare a concentrarsi sul suo orsacchiotto per cercare di non ascoltare. Ma il poverino ha avuto anche lui il suo trauma (senza un trauma, in questi film non si concede altro che la posizione del missionario): tempo prima la moglie era finita nelle grinfie di un sadico che l'aveva violentata, uccisa e smembrata, e il poliziotto non è nemmeno sicuro di quale sia stato l'ordine delle tre cose.
In questo quadro di temeraria morbosità, in cui di personaggi normali non vi è nemmeno l'ombra (possiamo solo paventare cosa diventerà da grande la figlia del poliziotto...), la lesbica di Stritch, pur un po' laida, non ne esce affatto male: tutto sommato si limita a provarci e quando viene respinta non insiste, anche se non la prende molto bene e in buona sostanza rinfaccia a Norah di essere imbranata e inibita (ma non ha tutti i torti). Poi se ne va senza premurarsi di rivestirsi, finendo ovviamente tra le braccia di Lawrence, che la crede Norah e le fa fare la fine che si è detto, salutandola poi con un bacio necrofilo (nella versione integrale).
Avesse fatto un film di tre ore anziché di un'ora e mezza, è difficile immaginare fin dove Cates si sarebbe spinto nel seguire con tanta acribia la moda corrente accumulando morbosità su morbosità, non senza accenti piuttosto grevi (ad esempio quando fa capire molto chiaramente allo spettatore che Lawrence, quando chiama Norah, si masturba). Eppure l'aspetto più singolare del film è un altro ancora, e cioè il meticoloso sfruttamento del corpo di Sal Mineo, che la macchina da presa esplora ripetutamente e per lunghi minuti, con l'accurata precisione con cui un volenteroso esploratore mapperebbe un territorio sconosciuto. Il venticinquenne attore si concede senza inibizioni, con l'evidente convinzione di offrire una prestazione di alto livello drammatico con cui rilanciare la sua carriera in declino (a dieci anni di distanza da Gioventù bruciata), ma sconfinando a tratti, insaccato com'è in abiti troppo aderenti, in una parodia involontaria di Marlon Brando. Quando non veste attillato, non veste proprio, sin dai titoli di testa (offuscati nella versione censurata) e dalla prima sequenza, che è quella della prima telefonata (dimenticavo di dire che le telefonate Lawrence le fa sempre in mutande). Vi è poi la sequenza in palestra (dove Lawrence è l'unico a stare di nuovo mezzo nudo), e quindi subito dopo in piscina, dove non solo il costume non lascia nulla alla fantasia, ma la prestanza del corpo del ragazzo è oggetto di commenti piuttosto espliciti da parte persino dell'imbranata Norah.
Il voyeurismo della macchina da presa è dunque anche superiore a quello di Lawrence, senza essere mai controbilanciato da altrettanta attenzione per il corpo femminile, benché le forme di Norah debbano risultare fatali per tutti nel film: nemmeno il poliziotto rimane indifferente.
Ora, è proprio questa particolarità a dare il colpo di grazia a una macchina narrativa già farraginosa, nella sua eccedente sovrabbondanza di elementi. Who Killed Teddy Bear si presenta infatti sin dal titolo come un whodunit, cioè uno di quei film nei quali lo spettatore dovrebbe cercare di capire chi sia il colpevole. E qui i colpevoli possono essere solo due, perché sono gli unici personaggi maschili di qualche rilievo: Lawrence e il poliziotto. Di conseguenza, tutto il meccanismo della suspense si basa sul tentativo di farci credere che l'ispettore (di cui Norah si fida ciecamente) sia squilibrato quanto e più di Lawrence e che quindi possa essere lui il "sadico" dell'infelice titolo italiano (per tacere della locandina che prende da quella originale Norah, la mette dietro una persiana, elimina Lawrence e lo sostituisce con una frusta tanto allusiva quanto fuorviante). Il problema è che il corpo del masturbatore seriale/consumatore compulsivo di pornografia/occasionale assassino, che ci viene mostrato continuamente nudo sin dall'inizio (lasciando però il volto fuori campo), è chiaramente quello di un giovane, e dal momento che tra Mineo e l'interprete del poliziotto c'è quasi un quarto di secolo di differenza...
L'ostensione del corpo di Mineo finisce così con l'essere allo stesso tempo la causa della rovina del film e il suo principale motivo di interesse, dal momento che è l'anomalia che lo distingue dai molti prodotti simili di quegli anni, che privilegiavano per ovvie ragioni i corpi femminili, tanto da renderlo tutto sommato ancora meritevole di una scorsa.