recensione diFabio Bazzoli
La città e l'isola. Un libro pieno di gente
Dalla copertina di questo libro ci raggiunge uno sguardo. E' quello di un giovane uomo in una fotografia piuttosto nota che ritrae una sala da ballo nella Calabria del 1955.
Giorgio Agamben ha scritto che occhi come questi esigono da noi qualcosa:
"Anche se la persona fotografata fosse oggi completamente dimenticata, anche se il suo nome fosse cancellato per sempre dalla memoria degli uomini, ebbene malgrado questo - anzi, precisamente per questo - quella persona, quel volto esigono il loro nome, esigono di non essere dimenticate".
Non è alla fotografia scelta dalla copertina che Gianfranco Goretti e Tommaso Giartosio sentono di dover rendere giustizia, ma agli scatti che hanno trovato nelle cartelle istruite dalla questura, e ai quali spesso si richiamano. A quell'esigenza di essere ricordati e capiti hanno prestato la loro voce in modo preciso, partecipe, rispettoso.
Anno XVIII dell'era fascista, 1939, a Catania e in provincia 45 omosessuali vengono spiati, indagati, quindi - in momenti diversi - trattenuti in carcere e inviati insieme al confino.
Tutto questo senza aver commesso alcun reato, benché quasi tutti si sentano senz'altro colpevoli.
E' la loro stessa esistenza, piuttosto, che contrasta con la costruzione fascista della razza. La pederastia passiva minaccia il mito virile.
Le indagini e i provvedimenti di confino sono il frutto di un lavoro brillante e accurato di cui il questore Molina di certo si sarà sentito orgoglioso.
Una operazione senza precedenti noti in termini di numeri e di accanimento sulle vittime, che ha spinto Gianfranco Goretti a farne l'oggetto della sua tesi di laurea e che rivista assieme a Tommaso Giartosio è diventata un libro straordinario.
La sua eccezionalità risiede però meno nella rarità dell'evento che nello sguardo del ricercatore, nelle domande che gli pone e nelle risposte che ne trae.
Fuori dal comune è il risultato conoscitivo che emerge da una ricerca fortemente empatica, nella sensibilità letteraria con cui in ascolto delle fonti lo storico distingue ciò che suona falso da quanto appare in un lampo la verità.
Viene in mente lo spesso ricordato orco che Bloch ha paragonato allo storico, che va dove sente odore di umano.
Ho posato il libro persino scosso, turbato. Dopo i primi capitoli, letti a spizzichi fra un ritardo del treno e l'altro, mi sono immerso per un fine settimana nella storia dei quarantacinque arrusi.
Sono stato seduto sotto l'arvulu rossu, nel luogo dal nome "spagnolesco e favoloso" di Piazza Alcalà, ho spiato anche io come i questurini i giovanissimi catanesi che ballavano fra loro e con i bramati "masculi" nello stanzone disadorno di Piazza sant'Antonio.
Ero presente mentre il questore dettava le sue relazioni a un appuntato che ne storpiava i riferimenti classici, nelle case e nelle botteghe, fra le vigne dove Salvatore 'a Betteflai, o Giacomo 'a Fugghiara ebbero i primi contatti sessuali, che poi ricordarono anche come violenze, in una confusione di mala fede e autocoscienza coatta che il libro analizza, e spiega.
Li ho accompagnati nel carcere, spaventati, nelle Tremiti dove la noia subentra all'umiliazione e allo scoramento.
Gianfranco e Tommaso mi hanno letto le loro suppliche, separando accuratamente i fili che le compongno per mostrare i cuori degli arrusi nascosti anche lì.
Poi li ho seguiti al ritorno, nella vergogna di aver subito un sopruso ma anche nella certezza che anche la successiva repubblica l'avrebbe se non riprodotto certo implicitamente avvallato, con il silenzio.
E' un viaggio che raccomando a tutti.