recensione diPatrizia Colosio
The Beirut apt. Documentario sulla vita lgbt in Libano.
È così che esordisce Maha, una bella ragazza con i capelli rossi, le lentiggini e una fascia che le trattiene i capelli.
Maha è lesbica, è lesbica in un paese mediorientale che da sempre è un crogiuolo di religioni, di sette, di differenze all'interno della stessa religione. E Maha, che è lesbica a Beirut, non può dimenticare che "libanese" è una parola che dev'essere specificata in mille modi diversi: libanese, ma cristiano (e puoi essere maronita, ortodosso, cattolico); libanese e druso; libanese e mussulmano (e puoi essere sunnita, sciita, puoi seguire gli Hezbollah oppure essere una legato al Sufismo, che non fa distinzioni e rispetta tutti). Oppure puoi stare in Libano da generazioni, ma non avere la cittadinanza ed essere per sempre un profugo palestinese.
Ma Maha con quella sua sorprendente esclamazione ci ricorda che nascere e vivere sotto le bombe può essere un'esperienza completamente diversa da quello che immaginiamo: può essere l'unico momento in cui un paese, il Libano, si ritrova unito, unito nella solidarietà che nasce dall'essere tutti nella stessa barca, quella dei palazzi bombardati, delle porte che si aprono per dire agli sconosciuti: "Vieni dentro e nasconditi, se puoi".
Daniele Salaris, il giovanissimo regista, ha scelto il Libano perchè è l'unico paese del mondo arabo dove un'associazione gay e lesbica ha sede proprio in loco.
L'associazione si trova proprio a Beirut e a Beirut ha trovato un suo spazio di cittadinanza. L'ha trovato perchè la guerra, la guerra continua, può anche unire le persone. E i gay e le lesbiche di questa associazione hanno deciso durante l'ultima incursione degli Israeliani di aprire il loro centro, di farne un punto di soccorso per rifugiati e feriti. Questo ha cambiato la loro cittadinanza a Beirut.
Nell'appartamento di Beirut, dove si svolgono tutte le interviste (perchè a Beirut è proibito anche solo fotografare per strada a causa delle continue autobomba e degli attentati preparati anche con le tecniche di ripresa dei luoghi), lì noi incontriamo tre gay e una lesbica. Ci parlano di come può essere vivere da lesbiche e da gay in Libano.
La differenza con l'Italia (almeno a Beirut: in campagna è diverso) non è poi molta. La buona borghesia, per quanto integralista, fa la piega e alla fine accetta i figli gay; i poveri, come l'ultimo, Rachid, un nome di copertura (Rachid che vive nella zona più bombardata del Libano, quella che ora è sotto il controllo degli Hezbollah, che lui rispetta per l'aiuto che danno alla popolazione, ma da cui sa di doversi sempre difendere mantenendosi nell'ombra) i poveri vivono una situazione più difficile e coperta.
"Se sono così è perchè Dio mi ha voluto così".
E sono parole che abbiamo sentito pronunciare con la stessa disperazione e la stessa fiducia da molte cattoliche...