recensione di Mauro Giori
A Bright Room Called Day
Oggi Tony Kushner, che dopo l’enorme successo riscosso da Angels in America è diventato uno degli scrittori gay più celebri degli Stati Uniti, riconosce l’immaturità della sua opera d’esordio, A Bright Room Called Day, ambientata negli ultimi mesi della Berlino di Weimar, sullo sfondo della progressiva ascesa al potere di Hitler.
L’ammissione, in appendice all’edizione in volume dell’opera stessa, intende sedare le polemiche che tanta critica gli ha rivolto per via del paragone tra Hitler e Reagan affidato alle parole di Zillah, una newyorkese paranoica dei nostri giorni che di tanto in tanto interrompe e commenta l’azione, e che non usa certo eufemismi:
Just because a certain ex-actor-turned-President who shall go nameless sat idly by all watched tens of thousands die of a plague and he couldn’t even bother to say he felt bad about it, much less try to help, does this mean he merits comparison to a certain fascist-dictator anti-Semitic mass-murdering psycopath who shall also remain nameless? OF COURSE NOT!
Per chi non avesse colto l’ironia della domanda, poche righe dopo Kushner esplicita la sua idea: “REAGAN EQUALS HITLER!” (p. 71). Il fatto che l’autore – gay ed ebreo - ritenga oggi che mettere sullo stesso piano Hitler e Reagan, ovvero l’olocausto e l’indifferenza dell’amministrazione “dell’ex attore di cui non facciamo il nome” nei confronti dell’AIDS, sia stato un po’ eccessivo non significa che abbia ritrattato alcunché: l’opera continua a circolare così com’è stata scritta (in Gran Bretagna Reagan viene rimpiazzato dalla Thatcher) e Reagan è rimasto il bersaglio politico principale anche in Angels in America.
Se Angels in America è un dramma sulla inevitabilità del cambiamento, A Bright Room Called Day riguarda piuttosto la paura del cambiamento che - nei termini in cui la mette Kushner - , quando paralizza l'azione politica progressista, diventa colpa storica, favorisce la divisione e porta all’impotenza e alla paralisi di fronte alla crescita del male, identificato nella repressione conservatrice.
Un male che è sullo sfondo, mitizzato in un modo tale che nessuna ironia riesce a scalfirne la dimensione metafisica: il fatto che Hitler sia deriso per i suoi baffi fatti di gambe di scarafaggio, e che sia presente in scena solo come pupazzetto che prende il volo, non ne sminuisce l’aura malefica che incombe dalla prima all’ultima scena.
Hitler è l’emblema stesso del male, rispetto al quale Zillah si chiede se sia possibile continuare a usare la parola “male” per indicare persone reali, o se ormai questa parola sia dominio esclusivo dei predicatori televisivi.
In questo kammerspiel claustrofobico la vastità degli eventi storici chiamati a fare da sfondo all’azione si coglie solo attraverso le conseguenze che si abbattono sulle vite di un pugno di personaggi, per lo più legati al mondo del cinema e al partito comunista, divisi dalle convinzioni ideologiche e poi costretti progressivamente alla fuga dall'affermarsi del nazismo.
A loro si aggiunge Baz, un omosessuale di 35 anni circa che lavora per l’Istituto di scienze sessuali di Hirschfeld e che fa un po’ da ago della bilancia.
Da un lato è ritratto in modo piuttosto tradizionale, maniaco del sesso e piuttosto pavido: arrestato delle SS, è contento di vedere che nella sala degli interrogatori ci sono dei tappeti, perché ciò significa che non lo picchieranno (non saranno così matti da rischiare di sporcare i tappeti!). D'altro canto Baz ha certamente una coscienza politica più lucida e più pragmatica di quella di altri personaggi, soprattutto di Agnes, borghese che si affilia senza troppa consapevolezza al partito comunista.
Baz coglie prima degli altri l’impotenza cui il partito comunista è destinato dalla sua stessa organizzazione interna, nonché i lati più inquietanti della figura di Stalin, e gli basta poco per deridere gli atteggiamenti affettati di Agnes nei confronti di un proletariato che non conosce (così come ha gioco facile a rinfacciarle di non aver mai letto Marx):
A Bright Room Called Day, che al puntuale quadro storico sovrappone una certa dose di visionarietà allegorica (in una scena appare il diavolo, malato e stanco, che prefigura il Larry Cohn di Angels in America), abbonda di spunti interessanti, nonostante qualche eccesso didascalico, dovuto a una scrittura non sempre sicura dell’efficacia della propria ironia. Affinando il suo stile, Kushner non avrà più bisogno di urlare le sue verità.Baz: My being homosexual brings me into contact with more proletarians than you can imagine.
Agnes: So does working at the Studio.
Baz: Right. They paint your face and clean up after you’ve finished acting. I have sex with them.