recensione diFrancesca Palazzi Arduini
Non puoi fermare il vento: la vita delle lesbiche durante il nazifascismo.
"La ragione per la punibilità della sessualità lesbica è data dal (...) ribaltamento del naturale sentire delle donne, dall'alienazione che così si viene a provocare rispetto al loro naturale destino di mogli e di madri e dall'alterazione e dal danno alla vita della comunità nazionale che così si vengono a produrre". (Rudolf Klare, giurista e sergente SS, 1937).
Questa citazione, tratta dal saggio di Claudia Schoppman presente nel recente "R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista" (Ombre corte 2010), oltre a somigliare in maniera scontata ma inquietante alle teorie della destra cattolica italiana attuale, ci introduce al discorso della punizione dell'omosessualità durante il nazifascismo. Punibilità che ha differenziato i gay dalle lesbiche: solo in Austria infatti le lesbiche sono state nominate nel paragrafo 129 del codice penale (attivo sino al 1971!), mentre in Germania il paragrafo omofobo 175 (attivo a est fino al 1957 ed a ovest sino al 1968) non nominava le donne. Anche l'Inghilterra, oltretutto, si è distinta per la penalizzazione dell'omosessualità, ma parlamentari conservatori non riuscirono, nel 1921, a introdurre la punibilità anche per le donne.
L'invisibilità delle lesbiche continua quindi anche durante il più cruento delirio di normalizzazione europeo. Come esseri non inclusi nel bestiario e invisibili anche allo specchio, noi lesbiche indirizzate ai campi di concentramento veniamo definite in altro modo: ebree, asociali, prigioniere politiche, prostitute... . "..Il pericolo di venire denunciati per -atti osceni- era maggiore per gli uomini che per le donne. Da un lato, perché gli uomini spesso cercavano i partner nei parchi o nei bagni, il che portava a numerose delazioni. Dall' altro lato, perché gli atti sessuali compiuti dalle donne, al contrario, si svolgevano generalmente in spazi domestici, cosa che offriva loro grande protezione."
La repressione dell'omosessualità in Germania era iniziata più crudamente verso la fine degli anni di Weimar, poi, nel 1933, vennero chiusi tutti i locali "sospetti", con pubblicazione sulla stampa degli indirizzi vie tati. Solo nel 1936, brevemente, si riacconsentì l'apertura dei locali berlinesi per dare l'impressione durante le Olimpiadi che la città non fosse sotto il maglio della censura.
La diffusione e naturalezza del desiderio produce esistenze differenti in ogni classe sociale, così gli esempi, faticosamente tratti dagli archivi e confluiti in questi preziosi otto saggi, sono infiniti: dalle lesbiche ebree alle donne internate nei campi come asociali, alle intellettuali a quelle prive di formazione politica, alle "julot" lesbiche, donne che nei campi di concentramento usano il proprio corpo per ottenere migliori accomodamenti. Lotta politica e lesbismo si scontrano in un'atmosfera di guerra che, se da un lato favorisce l'uscita delle donne dai ruoli predefiniti (aumento del numero delle operaie, vita militare ecc.), dall'altro stigmatizza in tutti gli schieramenti l'esibizione dell'orientamento sessuale, anche nella Resistenza: lo racconta Raquel Osborne nel suo saggio "Le monache rosse. La visione delle prigioniere politiche rispetto alle relazioni lesbiche nei campi di concentramento nazisti e nelle carceri franchiste": "Tra di noi, la compagna stessa che viveva l'esperienza del lesbismo si emarginava da sola (...)", oppure, come per smentire l'ideologia del "rosso degenerato" diffusa dai franchisti, esse venivano segregate dalle loro stesse compagne, le "monache" dedite anima e corpo alla causa del loro partito.
Il pericolo posto in causa da donne che si sottraggono per istinto all'economia sessuale maschile, dicevamo, non è nominato o a seconda dei casi incluso dai nazisti in un maniacale compendio di biopolitica, che include le lesbiche prive di risorse mimetiche (escludendo quindi quelle che si proteggevano con matrimoni combinati) in una strategia di segregazione "sanitaria"che le accomuna alle donne mentalmente sofferenti, a vagabonde e renitenti al lavoro, a coloro che trascurano la casa e la famiglia. Tutte "incorreggibili" che venivano sottoposte a durissime punizioni corporali, iniezioni di apomorfina e sterilizzazione coatta.
E' una scelta giusta e significativa che le autrici abbiano scelto per questo libro la parola R/esistenze, perché, come spiegano nell'introduzione, la nostra stessa vita era (ed in molti casi è ancora) una resistenza ai tentativi continui di negare il nostro stesso essere al mondo.
A queste sorti si sottrassero le tante donne volontariamente esiliate che condussero tra l'altro importanti ruoli nella Resistenza, come l'affascinante Mopsa Sternheim, arrestata nel 1943 a Parigi, torturata dalla Gestapo (estrazione dei denti), la quale per resistere moralmente al campo, nel quale si distinse per la forza e la cura delle compagne malate... faceva a mente la lista dei suoi amori e delle loro qualità.
Mentre la Kripo, la"Centrale del Reich per la lotta all'omosessualità e all'aborto" compiva il suo sporco mestiere, le lesbiche sopravvivevano anche grazie al Sistema, come racconta una lesbica berlinese che, trasferita in una piccola azienda del nord ricorda: "Ai tempi del nazismo ho vissuto i flirt più incantevoli della mia vita. E per giunta durante il servizio obbligatorio al deposito di munizioni...".
Tanti i preziosi contributi del libro per quello che riguarda le lesbiche italiane: l'annotare l'esistenza lesbica nelle citazioni brevi e spesso vaghe degli intellettuali d'allora (Mario Tobino, Luce d'Eramo, Gianpaolo Pansa, Vasco Pratolini, Enzo Biagi), la sottolineatura del rapporto tra lesbiche italiane e istituzioni culturali proto-femministe del tempo, ed anche sportive, come l'Accademia di educazione fisica femminile di Orvieto fondata nel 1932 per volere fascista e diventata per contrappasso un punto d'incontro delle lesbiche integrate e amanti della... fitness. Quando si dice: non puoi fermare il vento.
R/esistenze lesbiche nell'Europa nazifascista. A cura di Paola Guazzo, Ines Rieder, Vincenza Scuderi. Ombre corte, collana Documenta, Verona, 2010. pagg. 190, euro 19.