recensione diFabio Bazzoli
La corsa di Billy. Correre via da qui
Questo libro famosissimo, l'avevo addirittura cercato in lingua originale più di 15 anni fa (ne avete sentito parlare tutti: è The front runner), e se l'avessi letto allora magari gli avrei dato più stelle. Letto oggi fa male. Tra l'altro, dopo averlo comperato l'ho lasciato sul comodino più di un anno: solita preveggenza della malavoglia.
La storia è quella di tre atleti gay cacciati da una università che trovano in un'altra - con un allenatore gay - la piena visibilità, la gloria e per almeno uno di loro la strada delle olimpiadi, addirittura come icona del movimento dei diritti civili.
Fa male, oggi, prendere atto di come questo intreccio, che nel 1974 poteva essere accolto come possibile, addirittura credibile, letto nel 2008 risulti del tutto in-credibile, vera utopia.
Una storia incamminata su un futuro parallelo di cui oggi possiamo misurare quanto divergente dal percorso che invece abbiamo tutti fatto, con il Papa che raccomanda il mantenimento della pena di morte agli omosessuali, ragazzi gay picchiati e insultati nel centro di Milano e di Roma (così che tutti capiscano l'opportunità di tornare nel silenzio, nascosti, vergognosi).
Poi di suo il libro è poco più di un romanzo rosa con passamanerie verdi.
Tutti i personaggi sono belli e atletici, pieni di buoni sentimenti e solo di quelli, eroi.
C'è talmente tanta buona volontà dappertutto che persino io sono riuscito qua e là a non commuovermi (poche volte, comunque).
Il libro voleva assolutamente essere una mozione di buoni sentimenti, creare un eroismo alternativo, carezzare dal verso giusto il lettore gay, e non lo considero un obbiettivo disprezzabile in sé, però mi fa incazzare vederlo allontanarsi nel tempo e nello spazio.
Così gli rimprovero anche le mie lacrimucce.