recensione diMassimo Consoli
Non male, ma troppi refusi
Ho letto questo libro durante una delle mie solite permanenze in ospedale, quando ho tempo per fare le cose che mi piacciono di più.
Conoscevo l'autore, Jean Le Bitoux, come valido giornalista del settimanale francese "Gai Pied Hebdo", del quale fu uno dei fondatori nel 1979, e avevo avuto modo di apprezzarne lo stile e l'intelligenza in numerosi articoli.
Così, sono rimasto sopreso nel leggere il suo Triangolo rosa. Sgradevolmente sorpreso.
Non ne avrei neanche voluto parlare. Prima di tutto perché non mi va di dare un giudizio negativo sull'opera di un autore che, per altri versi, apprezzo. Poi, perché si tratta di criticare un libro che affronta un argomento che anch'io ho trattato, e potrebbe sembrare che lo faccio magari per gelosia (sentimento che, grazie al cielo, mi è totalmente estraneo).
Ma oggi ho letto su "Pride" un articolo di Stefano Bolognini nel quale si rimprovera "Il Sole-24 ore" di non aver mai citato quel libro sul loro giornale, in quanto "uno tra i pochissimi testi italiani su omosessualità e nazismo". Così mi è venuta la curiosità di vedere com'è trattato su internet e sono rimasto sorpreso dal constatare che viene considerato un libro, diciamo così, di serie "A".
Immeritatamente, secondo me.
Il libro è pieno di errori. Sorvoliamo sui refusi dei quali non si può incolpare che l'editore (e ce ne sono molti), e passiamo sopra alla traduzione sulla quale è meglio non insistere, ma qui si parla di svarioni veri e propri, e grandi come una casa.
Il primo che mi ha fatto saltare sulla sedia (pardon! sul letto dell'ospedale), è proprio uno che mi riguarda. Anzi, si tratta di tre o quattro errori concentrati in appena tre righe, a pag. 152.
Scrive, in effetti, Le Bitoux: "La rivista "Arcadie" pubblica, a firma di un certo Luciano Maximo, nell'ottobre 1960, un articolo intitolato Da Sodoma ad Auschwitz. In poche settimane, racconta l'ex internato in quel campo… etc.". Tre righe!
"Luciano Maximo" era "Luciano Massimo Consoli", cioè il sottoscritto e, da quel che mi risulta, il mio nome era stampato completo, una pagina sì ed una no.
L'articolo non apparve nell'ottobre 1960, ma nel numero di Luglio-Agosto 1974, da pagina 343 a pagina 348.
Il sottoscritto non è mai stato internato "in quel campo" né in nessun altro campo nazista, non fosse altro perché, essendo nato nel 1945, non avrebbe nemmeno (storicamente e anagraficamente) fatto in tempo. E non mi sembra che nell'articolo io abbia dato l'impressione di esserlo stato.
Questo, ripeto, per quel che mi riguarda e che, ovviamente, è l'argomento che conosco meglio e sul quale posso fare delle precisazioni a pieno titolo.
Poi, c'è un errore che mi ha fatto sbellicare dal ridere. Parlando del codice penale inglese, cita "l'emendamento chiamato "La Bouchere" (La Macellaia), a pag. 28. "La Macellaia"? Pensando ad un errore di traduzione, sono andato avanti (dopo aver smesso di ridere) senza pensarci più di tanto ma, orrore!, 'sta "Macellaia" riciccia fuori a pag. 126 ("due anni di lavoro forzato nel carcere di Reading, che costituivano la pena massima dell'emendamento detto "La Macellaia"!).
Fortuna vuole che proprio il mese scorso ho pubblicato un lungo articolo su una delle riviste alle quali collaboro, nel quale ho parlato abbondantemente di Henry Du Pré Labouchere (1831-1912), lo statista inglese che, nel 1885, aveva introdotto a sorpresa quel famoso emendamento che poco dopo sarebbe costato ad Oscar Wilde due anni di lavori forzati. "Labouchere", in effetti, somiglia molto al francese "La Macellaia" come, del resto, William Shakespeare potrebbe rendersi con "Guglielmo Crollalanza", e George Bush con "Giorgio Cespuglio" (o "fica", visto che nello slang di New York, bush vuol dire proprio questo)…
Andiamo avanti: a pag. 81, alla nota 24, l'autore ci ricorda che Karoly Maria Kertberry (cioè, Kertbeny), era medico. Errore che, a suo tempo, ho fatto anch'io, insieme a due generazioni di militanti e di studiosi (ed il perché l'ho spiegato in un libro che sta per uscire da un momento all'altro), ma che ormai anche le pietre sanno essere, appunto, un errore.
Pag. 83: il film di Luchino Visconti non è I dannati (evidente traduzione dal francese Les damnés), ma La caduta degli dei (in questo caso, la "colpa" è del traduttore).
I deportati omosessuali non lavoravano ad una "strada di pietra", come si sostiene a pag. 92 e si ripete a pag. 93, ma ad una "cava di pietra".
A pag. 119: "Una battuta umoristica dice: "Sterminate gli omosessuali, e il fascismo scomparira'"". Oddio, proprio "battuta umoristica", non direi. Non è che per caso l'originale recitava semmai "C'è già un detto…"?
A pag 186, l'autore attribuisce un potere misterioso al "Corriere della Sera", il quale scrive che "il 2 novembre 1975 a proposito dell'uccisione di Pier Paolo Pasolini in occasione dell'apertura del processo al suo assassino…". In quella data Pasolini è morto. Il processo all'assassino Pino Pelosi si è aperto il 1 dicembre del 1976.
E mi astengo dall'elencare i nomi storpiati (tipo il giornale "Die Zukunft", o l'outing che diventa misteriosamente outling) limitandomi a ricordare che uno degli amici più fidati di Hitler si chiamava Rudolf "Hess", e non "Hesse", come viene erroneamente indicato prima a pag. 60, e poi a pag. 83.
Infine, non mi va di controllare le date, anche se, a naso, mi sembra di ricordare che il Reichstag è andato a fuoco nel 1933 e non nel 1993.
A parte questo, il libro non sarebbe male. Il contenuto sembra importante, ma uno non riesce a sapere fino a che punto le informazioni fornite, le cifre, le date, i nomi… corrispondano alla verità o siano in qualche modo storpiate.
È un peccato!