Nel nome della razza. Fascismo, razzismo e omosessuali

17 marzo 2005, "Babilonia", marzo 2000

Quando in Italia si parla di razzismo ritorna insistente il luogo comune, avallato da storici autorevoli, degli "italiani brava gente", di un popolo che, unico nel contesto occidentale, sembrerebbe essere stato immune dalla piaga del razzismo: così il colonialismo italiano diventa quasi un'impresa umanitaria, le leggi razziali solo un fenomeno di opportunismo e di mimesi subalterna e, per quanto riguarda l'omosessualità, l'Italia non è stata il paradiso di tanti estimatori dell'"amore greco"?

Questo libro, che raccoglie 34 saggi di studiosi di varie discipline, smantella questo luogo comune autoassolutorio e documenta la nascita e il consolidamento in Italia di tutta una serie di dispositivi ideologici funzionali alla legittimazione di pratiche discriminatorie di tipo razzistico nei confronti di "nemici" interni ed esterni, e di categorie di persone da confinare in una situazione di subalternità.

Impossibile qui entrare nello specifico dei singoli saggi che spaziano dal razzismo coloniale all'antisemitismo della Chiesa, che analizzano fonti scientifiche e storiche, scritti di medicina, di letteratura, di propaganda.

Due interventi riguardano il razzismo antiomosessuale.

Il primo, di Dario Petrosino, analizza la rappresentazione dell'omosessuale nella rivista di Leo Longanesi "L'Italiano", che negli anni 1926-1929 portò avanti, in nome dell'"italianità", una campagna denigratoria contro la "modernità" della cultura europea, fatta di "ermafroditi e pederasti", rafforzando i pregiudizi già esistenti e creandone di nuovi, "più adatti alle esigenze del tempo".

L'altro saggio è di Giovanni Dall'Orto che fa un'analisi attenta e puntuale del "paradosso del razzismo fascista verso l'omosessualità": dal 1936 al 1939 sull'onda delle leggi razziali gli omosessuali vennero perseguiti come "nemici della razza", quindi riconosciuti come gruppo sociale, ma questa repressione rischiava di essere meno efficace di quella tutta italiana e ben collaudata del silenzio, della negazione di qualsiasi spazio di visibilità, fosse pure deviante.

E infatti il fascismo tornò presto alla pratica consueta e gli omosessuali tornarono ad essere "delinquenti comuni".

La presenza nel volume di questi due saggi è rilevante: finalmente anche l'Università e le Istituzioni, che hanno promosso questa pubblicazione, sempre refrattarie e in ritardo su questo tema, cominciano ad accorgersi forse che il pregiudizio antiomosessuale è tra i più radicati anche perché legittimato spesso dal loro silenzio e che per capire e combattere il razzismo, è necessaria una riflessione critica comune su tutti i suoi aspetti.

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