recensione diVincenzo Patanè
Olimpia (I parte) & Apoteosi di Olimpia (II parte)
Il film è un documentario sui giochi olimpici di Berlino del 1936, desiderati ardentemente da Hitler per dichiarare al mondo intero la superiorità della razza ariana, dei valori del nazismo e del pangermanesimo. Anche se poi lo stesso Hitler e soprattutto Goebbels, ministro della propaganda, ebbero da ridire per il troppo spazio offerto a Jesse Owens, indiscusso protagonista delle Olimpiadi, ma vero smacco per il nazismo in quanto atleta di colore.
Per girarlo la Riefenstahl ebbe a disposizione dei mezzi decisamente straordinari, grazie ai quali ebbe un numero enorme di operatori e arrivò a fare riprese da dirigibili o in camere stagne dentro le piscine. Ne risultò un materiale per più di 300 ore ed un laboriosissimo montaggio che richiese più di 18 mesi.
Osteggiato tuttora da molti per il suo passato, in realtà il film è così bello e cinematograficamente valido che riesce ad annullare ogni riserva sulla sua origine e sul suo scopo primario. D'altra parte non ci sono forzate adesioni politiche, ma un tributo sincero ad un estetismo raffinato, a volte un po' esasperato. La Riefenstahl era certamente una sincera entusiasta del senso delle Olimpiadi e del significato dello sport, visto soprattutto come mezzo per formare armoniosamente il corpo umano. Lungi dall'essere una cronaca dell'evento, Olimpia tende in particolare ad esaltarne spettacolarmente i momenti più significativi ed è soprattutto un mezzo per esibire e definire degli ideali estetici precisi. Quegli stessi ideali che la regista ha cercato anche negli anni a seguire, fotografando gli africani Niuba: negli uomini la forza e la competività, nelle donne il fascino e la grazia. Perciò, più che soffermarsi sulle tensioni, ama concentrarsi sul discorso estetico.
Ovviamente nel film non c'è niente che riguardi specificatamente l'omosessualità. E ciò nonostante il film trasuda di un forte omoerotismo e non può non entusiasmare un pubblico gay, perché nel cinema non si è mai visto un tale tributo alla bellezza del corpo umano, maschile soprattutto, ma anche femminile, visto in una sintesi possente di armonia, bellezza e forza. D'altra parte, il nazismo, che pure condannò l'omosessualità, di fatto la praticò moltissimo e la esaltò nella sua arte ufficiale, come la scultura di Arno Breker, a cui tante inquadrature del film rimandano.