Treviso, 1910: il segreto del colonnello

Nel 1910 le cronache venete si occuparono dello strano caso di un alto ufficiale dell'esercito coinvolto in un brutto scandalo di natura sessuale.

Il colonnello Luigi Piatti del 55.o fanteria era persona di buona reputazione ed appartenente ad una rispettabilissima famiglia del trevigiano, era un "uomo tutto d'un pezzo", intelligente, capace e percorreva veloce i gradini della carriera militare, tanto che si dava per imminente la sua nomina a maggiore generale.

In quell'epoca il Regno d'Italia aveva bisogno di ufficiali validi, dal momento che le tensioni politiche internazionali mantenevano costantemente l'esercito in stato d'allerta. Erano anche stati richiamati al servizio militare i giovani delle classi 1889 e 1890, poiché si dava per imminente lo scoppio della guerra contro la Turchia per il controllo della Libia.

Il 27 gennaio, tuttavia, il colonnello Piatti venne arrestato, con l'infamante accusa di "aver compiuto atti innominabili di degenerazioni sessuali verso alcuni subalterni" [1].

Il fatto era gravissimo: per un militare, specie di carriera, non poteva esistere peggiore incriminazione.

D'altro canto era ancora fresco il ricordo del fattaccio della "Tavola Rotonda", uno scandalo accaduto pochi anni prima in Germania che aveva visto alcuni dei massimi esponenti dell'esercito del Kaiser coinvolti in una associazione segreta di omosessuali, cosa che aveva portato all'interruzione di brillanti carriere, al disonore e alla distruzione di molte famiglie.

L'essere convocato dai suoi superiori per fornire spiegazioni sulle sue tendenze omosessuali si trattò per lui di un colpo terribile che in breve lo fece sprofondare nella più dolorosa vergogna e che significò la repentina e definitiva conclusione della sua carriera e dei suoi progetti.

Il Codice penale per l'esercito del Regno d'Italia contemplava infatti all'articolo 273 la punizione per gli atti di "libidine contro natura" , con la reclusione ed i lavori forzati fino a dieci anni nel caso di scandalo o di presentata querela, e con la prigione a vita ed addirittura la pena di morte se vi fosse stata violenza [2].

La prima reazione del Piatti fu comprensibilmente quella di negare con decisione ogni addebito e, dal momento che il fatto stava gradualmente diventando di pubblico dominio, inviò una nota indirizzata a diversi quotidiani: "Il Colonnello Piatti protesta con tutte le sue forze contro le accuse infamanti che ledono il suo onore, escludendo in modo assoluto gli atti che gli sono imputati..." [3].

L'alto ufficiale aveva però sottovalutatola gravità della situazione, dal momento che la procura militare aveva avviato un'inchiesta in piena regola ed incaricato il generale Campi di proseguire nelle indagini.

La denuncia era partita da un giovane sergente di Castelfranco, tal Scarpari, il quale, indignato per le avances mossegli dal colonnello, ne aveva denunciato "il tentativo di atti turpi" [4].

Egli riferì al generale Campi di aver raccolto le confidenze di altri commilitoni, i quali sostenevano di aver avuto col Piatti diversi rapporti sessuali; in particolare vennero tratti in arresto un ex frate, il caporal maggiore Cevoli ed il sergente Tosco. Entrambi i sottufficiali ammisero coraggiosamente le loro responsabilità, ma non furono tuttavia i soli ad essere coinvolti nell'inchiesta.

Andavano infatti aumentando di giorno in giorno le dimensioni dello scandalo, tanto che ben presto si parlò dell'esistenza di "parecchi soldati" [5] e di ufficiali coinvolti nell'affare, quasi che il Piatti fosse a capo di una piccola "Tavola Rotonda" italiana, ovvero di un'associazione segreta di militari omosessuali.

Nel tentativo disperato di prevenire la diffusione di informazioni compromettenti e di mettere a tacere il mormorio popolare, il comando di Divisione di Padova pensò ad una misura drastica ed ordinò l'arresto sia degli accusati che dei testimoni, che degli accusatori.

La strategia non tardò a produrre il suo effetto e la stampa giustificò l'improvviso calo di notizie con un "diremo il meno possibile, perchè l'argomento é di quelli che addolorano, ma ancora più ripugnano" [6].

Era tuttavia trapelato che i fatti contestati al colonnello ed agli altri militari non erano poi così gravi, dal momento che furono appurate "forme minori di omosessualità fra il colonnello e i suoi subalterni, senza violenze, e con la complicità continua e volontaria degli stessi" [7].

Verso la fine di febbraio il Ministero della Guerra costituì il consiglio di disciplina per giudicare il colonnello, formato dal tenente generale Marini, due maggiori generali ed un pari grado dell'imputato.

La seduta del consiglio durò ben ventiquattro ore consecutive, un evidente frenesia di lavoro motivata dall'intenzione di far presto a concludere la spinosa vicenda; il maggior imputato, il colonnello Piatti, si presentò davanti alla commissione solo, senza avvocato difensore, così come prevedeva il regolamento.

Oltre all'alto ufficiale comparvero davanti ai giudici anche alcuni sottufficiali "che avevano avuto turpi rapporti col colonnello" [8], i quali furono tenuti agli arresti per essere poi inviati al battaglione di disciplina. Il sergente Tosco, che aveva ammesso le sue relazioni di natura sessuale col colonnello venne degradato ed ll 18 marzo un regio decreto collocò il Piatti definitivamente a riposo.

Il "caso veramente penoso d'un alto ufficiale che par debba trascinare nella sua caduta una famiglia sciagurata e insozzare un nome fino a ieri onorato" [9] fu anche una questione scottante che si inserì nelle dure polemiche esistenti in quell'epoca fra militaristi ed antimilitaristi e soprattutto fra clericali ed anticlericali.

Tempo addietro infatti i giornali di area socialista avevano duramente attaccato il colonnello Piatti in quanto egli si era recato in "visita augurale" [10] al vescovo Longhin, omaggiandolo con tanto di inchino e di bacio dell'anello. Un "qualcosa di anormale, una manifestazione che usciva dall'ordine naturale delle funzioni attribuite ad un rappresentante dell'Esercito di fronte alla Chiesa" [11], insisteva per quell'occasione la stampa anticlericale, mentre il puntiglioso opinionista Civis, riferendosi allo scandalo, si espresse quasi sarcasticamente: "Logicamente adunque, scopertosi nel colonnello Piatti l'autore dei fatti vergognosi, quegli stessi clericali i quali prima lo portavano alle stelle, chissà ora come lo rinnegherebbero volentieri; ed anche chissà che cosa pagherebbero oggi per non aver ricevuto quella visita, onde avevano prima gongolato cotanto" [12].

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